La scrittrice egiziana è stata una paladina dei diritti delle donne del suo paese ed ha rivoluzionato le discussioni sul genere femminile nel mondo arabo
«Sentivo dire […] che molto prima che io nascessi le neonate venivano sepolte vive. Fossi nata a quell’epoca sarei stata una di quelle neonate. Questo mi dicevano quando avevo quattro anni. Ma i miei erano tempi migliori. Quando veniva alla luce una bambina non le si faceva niente. Semplicemente la vita si fermava, semplicemente la gente era triste.»
(Nawal al Sa’dawi, Una figlia di Iside)
Piangiamo una donna d’altri tempi che ci ha lasciati all’età di 89 anni in seguito ad una malattia. Della sua morte lo annuncia il giornale Al-Ahram, i familiari hanno riferito che è morta in un ospedale della capitale egiziana.
Lei è Nawal El Saadawi, scrittrice e psichiatra egiziana, una delle figure intellettuali più importanti dell’emancipazione delle donne nel mondo arabo.
Nasce in una famiglia numerosa il 27 ottobre 1931 sul Delta del Nilo. Il padre le trasmette la passione per la letteratura, ma per lei è un frutto proibito. Lui è un uomo giusto, mite, compone poesie, gioca con i figli, insegna loro a pregare e la storia dei profeti, li incoraggia ad amare la letteratura. La madre è una donna orgogliosa, avrebbe voluto divenire musicista ma il padre la ritira dalla scuola ancora bambina affinché si sposi.
A sei anni, e prima dell’avvento del menarca, subisce la circoncisione da parte della daya, la donna del rasoio. Shatra (intelligente) è il soprannome di Nawal, perché brava massaia, musulmana devota, modello di pietà e virtù morali, che prega quasi ossessivamente per chiedere perdono ad ‘Allah dei propri peccati, del proprio essere impura.
Avrebbe dovuto trovare un marito, sposarsi e assolvere i propri compiti di brava moglie e massaia. Come da sempre conveniva a chi nasceva donna.
Ma lei vuole studiare, e la madre è sua complice silenziosa: “quando mi ribellavo nei loro occhi si manifestava l’odio. Negli occhi di tutti ma non in quelli di mia madre: i suoi mentre mi osservava combattere le mie battaglie, luccicavano di orgoglio e felicità. Di tanto in tanto mi lanciava un’occhiata di complicità“.
Il padre acconsente e la manda al Cairo, dove frequenta la scuola media, e poi ad Helwan per le superiori. È sceneggiatrice, regista, interprete al Teatro della Libertà. Da allora non abbandonò mai la scrittura, ma decise di studiare il corpo, oltre l’anima: si iscrive a Medicina all’Università di Giza e nel 1955 si laurea e diventa una psichiatra: cura, ascolta, scrive, lotta.
Si dedica così a quegli strumenti che le avrebbero permesso di aiutare concretamente le donne, scegliendo di non praticare modelli tradizionali di terapia che rafforzavano la loro condizione subordinata. Esercita la professione medica ma non sospende la sua attività di scrittrice di saggi, racconti e romanzi, che ritiene mezzi importanti per affrontare e denunciare argomenti tabù, dalla società arabo-islamica, quali il rapporto fra sessualità femminile e religione, aborto, prostituzione, abusi all’infanzia, le mutilazioni fisiche sociali psicologiche che le donne sono costrette a subire.
Nawal divorzia da due mariti che volevano imporle di abbandonare la sua carriera di medico e di scrittrice, considerando queste attività imbarazzanti e ostacolanti per le proprie carriere rispettivamente di medico e di avvocato. I suoi libri sono sottoposti a censura, autorità religiose, capo-villaggi e autorità statali l’accusano di non rispettare i valori tradizionali e d’incitare le donne a ribellarsi contro la legge e la religione.
Un sistema che ha sempre cercato di ostacolarla, censurando i suoi libri, chiudendo le riviste da lei fondate, incarcerandola, includendo il suo nome nelle liste di morte dei fondamentalisti, portandola in tribunale con l’accusa di apostasia. Finora i tentativi delle autorità politico-religiose, ciecamente obbedienti alla legge divina o terrestre, non hanno però fatto altro che accrescere l’autorevolezza di questa donna tenace, obbediente soltanto all’istinto della bambina che era un tempo, quando cominciò a disobbedire.
Con il terzo marito Sherif Hetata, medico e scrittore come lei, si trasferiscono prima in Olanda poi nel North Carolina, alla Duke University.
Il primo libro, Donne e sesso, nel 1972 le costò la cacciata dal Ministero della Sanità e la persecuzione delle autorità religiose. Da allora scrittura e impegno civile diventarono per lei inseparabili e si tradussero in alcuni dei libri più scioccanti scritti sull’oppressione delle donne arabe, come Firdaus. Storia di una donna egiziana e Dio muore sulle rive del Nilo.
L’autobiografia della femminista più famosa nel mondo islamico si intitola Una figlia di Iside. Tra i suoi libri, L’amore ai tempi del petrolio, romanzo in cui la scrittrice egiziana si interroga sul ruolo della donna in un ordine patriarcale. L’opera è stata censurata dalla massima istituzione religiosa egiziana, l’Università di al-Azhar, che dopo pochi mesi dalla pubblicazione ne ordinò il ritiro da tutte le librerie egiziane.
Nel 1981 fu incarcerata per due mesi per la repressione politica dell’allora presidente Anwar Sadat, e fu rilasciata dopo l’assassinio del presidente. Mentre era in carcere scrisse un libro intitolato Memorie dal carcere femminile, con una matita cosmetica su rotoli di carta igienica.
Oltre che in Egitto, insegnò in alcune università statunitensi, e fu consigliera delle Nazioni Unite sul programma per le donne in Africa e nel Medio Oriente. Fondò e fu a capo dell’Associazione per la solidarietà delle donne nel mondo arabo e co-fondò l’Associazione araba per i diritti umani.
Il femminismo di Saadawi – compresa la campagna contro le donne che indossano il velo, la disuguaglianza nei diritti di eredità musulmana tra uomini e donne, la poligamia e la circoncisione femminile – le ha fatto guadagnare tanti critici quanti ammiratori in Medio Oriente.
Tornata in Egitto, nel 2005 si era candidata alla presidenza, ma aveva abbandonato la sua candidatura dopo aver accusato le forze di sicurezza di non permetterle di tenere comizi. In seguito era caduta in disgrazia presso molti progressisti laici per aver abbracciato senza riserve il rovesciamento militare del presidente islamista Mohamed Morsi da parte del generale Abdel Fattah al-Sisi nel 2013.
La famosa scrittrice egiziana è stata una paladina dei diritti delle donne del suo paese ed ha rivoluzionato le discussioni sul genere femminile nel mondo arabo.
Saadawi era una fiera sostenitrice dell’emancipazione femminile nella società profondamente conservatrice e patriarcale dell’Egitto.
La figlia di Iside ha combattuto fino all’ultimo respiro in nome della speranza e della libertà. Era una combattente, Nawal Al Saadawi. Si batteva con tenacia e costanza. La sua arma era una penna, che, per la sua natura di donna, le dicevano che non poteva impugnare. Ma a Nawal non interessava, lei scriveva, scriveva e scriveva. Lo faceva anche per le altre donne, che nel suo mondo, che è solo a un passo dal nostro, non hanno gli stessi diritti.
Dal 7 giugno 2008 le donne egiziane hanno conquistato il diritto di registrare i figli nati fuori dal matrimonio con il proprio cognome; l’età minima per il matrimonio è stata alzata a diciotto anni; la circoncisione femminile, la clitoridectomia e l’infibulazione sono ora un reato perseguibile e punibile con il carcere o una pena pecuniaria. La sua morte coincide con le celebrazioni per la festa della mamma in Egitto e in tutto il mondo arabo. Lei che si è fatta mamma di tutte le donne.
Nawal ha vinto dopo aver combattuto con tenacia. Lode e gloria a lei, guerriera di un’altra vita.