Cultura

Il tonno di Hipponion, autentica leccornìa per i greci

di Michele La Rocca

Archestrato nel IV sec a.C. cantava le lodi del pescato vibonese. Una cultura da rivalutare come marchio di qualità.

“Ma se d’Italia sopra il santo suolo/ In Ipponio verrai dove corona/ Hanno i Bruzii di mar, colà vedrai/ I tonni più eccellenti, che la palma/ Portan vincendo di gran lunga gli altri”.

Archestrato di Gela

Archestrato nel suo Vita di Delizie, di cui Ateneo di Naucrati ci ha tramandato 62 frammenti noti come Gastronomia, narra della prelibatezza del tonno pescato sule sponde del mare vibonese. Il tonno di Ipponio l’antica Vibo Valentia, secondo il poeta conteso tra Gela e Siracusa, era il migliore di tutta la Grecia. Un cibo pregiato per cui valeva la pena intraprendere un viaggio. Sembra, infatti, che Archestrato, amante del gusto e della qualità dei cibi, alla maniera dei nostri contemporanei gastronomi, amasse apprendere in viaggio le specialità culinarie delle varie località e sperimentarle personalmente. E’ lui, in apertura del poema, a dirci che ha percorso tutta la terra e tutti i mari per conoscere quali siano i migliori bocconi ed i migliori vini, soffermandosi sui pesci di cui indica le qualità migliori e da dove provengono. C’è da credergli, dunque, sulla prelibatezza del tonno pescato nel tratto di mare che da Pizzo giunge a Briatico.

Questi i versi dedicati ad Ipponio e al suo tonno nel poema “culinario” scritto dal poeta siciliano probabilmente intorno al 340- 330 a.C.. Come dargli torto? Il tonno tirrenico è un alimento che esalta la buona cucina. Lo si può consumare fresco in vari modi, arrostito alla griglia o cotto al vapore. Il segreto della bontà del pescato nel golfo ipponiate (oggi di Sant’Eufemia) stava nell’essere la destinazione, in primavera, di grandi branchi, attirati dalla temperatura mite del mare, dalla limpidezza e dell’adeguata salinità delle sue acque, per deporre e fecondare le uova. E’ qui che avveniva la primigenia mattanza di cui parla Ateneo nel Deipnosophistae e successivamente da Claudio Eliano nel suo De natura animalium, in cui viene descritto l’uso di tonnare con metodi simili a quelli in uso fino a mezzo secolo fa.

Che la pesca fosse molto in voga tra Ipponio, la colonia greca, e Valentia, il municipio romano, lo testimonia anche il mosaico degli amorini pescatori (III sec. d.C.) ritrovato sulla costa di Trainiti ed esposto, all’incuria, nella corte del Castello Normanno. Mosaico che grazie all’intervento del Fai potrebbe essere finalmente restaurato e riportato alla sua bellezza cromatica.

La segnalazione della pesca del tonno nel vibonese è quasi un passaggio obbligato per i testi che parlano di Calabria in ogni epoca. Stupisce la sua abbondanza, si evidenzia il sapore speciale delle sue carni, lo si circonda di aggettivi celebrativi. Padre Giovanni Fiore da Cropani, di cui viene pubblicata tra XVII e XVIII secolo l’opera Della Calabria illustrata, osserva che “… più celebre è la pesca de’ pesci, detti Tonni, della quale discorre con molta lode Fra’ Leandro Alberti; e benché ella fosse in altri luoghi fuori di Calabria, li Tonni però di Calabria sono li migliori […]. Ed ancorché se ne notino i luoghi di questa Pesca Hippone oggidì Monteleone, e Metauro, oggigiorno Gioia… nulla di meno n’è la pesca più famosa nel mare di Pizzo”. Mentre François Lenormant ricorda come “il tonno pescato a Bivona ed al Pizzo si ritiene nell’Italia meridionale superiore a quello delle altre località”.

Agli appassionati di mare e di tonno si può anche consigliare un percorso turistico – culturale tra le antiche tonnare oramai in disuso, senonchè bisogna sottolineare come la Tonnara di Bivona, nonostante le promesse, rimane chiusa ai visitatori ed i barconi usati per la mattanza giacciono abbandonati e a rischio deterioramento. L’esercizio della tonnara a Bivona è forse il più antico della Calabria. A parte le origini greche, i primi manufatti dedicati alla pesca del tonno risalgono all’XI secolo, allorchè a Mileto giunse Ruggero il Normanno. Nel 1081 in uno dei privilegi emanati dal sovrano in favore dell’Abbazia di Mileto, Bivona viene descritta: “… cum portu suo, ac tunnaria, et omnibus pertinentiis”.

Nel XVI sec. la Tonnara viene ceduta dall’Abbazia di Mileto al Duca di Monteleone. L’attuale edificio della Tonnara di Bivona, invece, è stato edificato nel 1885 da Gaetano de Carolis e ristrutturato nel 1911 dal marchese Enrico Gagliardi. La loggia destinata ad ospitare i barconi usati per la mattanza è un unicum a livello regionale, costruita con capriate in legno di quercia, colonnati anche in quercia, rappresenta un autentico capolavoro dei maestri d’ascia locali e siciliani di fine dell’ottocento.

Nel territorio di Vibo Valentia oltre a quella di Bivona, operava un’altra tonnara a Santa Venere (Vibo Marina), due erano a Pizzo fin dal XVI sec. ed una a Briatico.

Essendo all’aperto e in mare, affidata alla natura, è ancora visibile, inoltre, la peschiera di Sant’Irene a Briatico, dove si possono ammirare due gruppi di vasche, il primo, lontano dalla riva, per mantenervi i tonni appena pescati, l’altro per la lavorazione del pesce.

Il Tonno di Ipponio potrebbe diventare un marchi di pregio per tutto il territorio e la tonnara di Bivona un sito turistico di grande importanza, ma si sa le parole volano al vento e restano le speranza soltanto che il vento possa cambiare e le parole diventino fatti.

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