Oggi è il cinque maggio, un giorno che da due secoli non è un giorno come gli altri.
Per gli studenti d’Italia lo è ancora di più, perchè il ricordo va ad Alessandro Manzoni ed alla sua bellissima ode, scritta per ricordare Napoleone Bonaparte, nel giorno della sua morte, il cinque maggio del 1821.
Napoleone è figura che si staglia sovrana nel palcoscenico della storia, con la forza, il vigore, le conseguenze che pochi altri, nel pantheon degli eroi di ogni tempo, possono vantare.
Questo fu chiaro subito, anche ai contemporanei, al punto che Manzoni non ebbe necessità di fissare l’anno della morte, nè di intestarla all’uomo: gli bastò scrivere cinque maggio, per eternarne il senso.
‘Fu vera gloria?’, si domandò Manzoni. Avvezzo a cavalcare i sentieri spesso tortuosi della storia (si ricordi l’ode ‘Il proclama di Rimini’, dedicata alla Campagna d’Italia del cognato di Bonaparte, Gioacchino Murat), Manzoni conosce bene la risposta. E’ in lui e per lui, invero, che l’Occidente si apre ad un tempo nuovo, sfuggendo ai retaggi di un medio evo che pareva eterno, per consegnarsi alle sfide insidiose di una modernità non facile. Domanda retorica, dunque, quella di Manzoni, come retorica è la risposta che ci dà: ‘Ai posteri l’ardua sentenza’

La sentenza era già stata scritta, in quei trenta anni di vita eccezionale, dagli anni giovanili in cui Napoleone si pose a presidio di una ancora imberbe ed incompiuta rivoluzione, a quelli dell’espansionismo politico e militare, in cui, con il guizzo del ‘lampo’, seppe lasciarsi alle spalle gerarchie, dissapori e contese fratricide di potere, per ergersi a protagonista assoluto, implacabile, sovrano.
Costò dolore profondo, sanguinante, livido questo schiudersi di Napoleone alla storia, questo volerla timbrare con i segni delle sue visioni e della sua volontà. Costò lacerazioni politiche senza rimedio, costò le innumerevoli coalizioni anti-Napoleoniche, che divennero guerre e sanguinose battaglie, costò migliaia di vite umane. Costò, anche, le contraddizioni dell’uomo che, liberatore per genìa e missione, si fece egli stesso, vuoi per necessità, vuoi per presunzione, vuoi perchè così vuole il potere, strumento di un’autorità nepotisticamente costituita.
In tutto questo, Bonaparte lasciò un premio decisivo e non più retraibile alla storia: lo stigma di una libertà contendibile e non più negletta, il valore filosofico e liberatorio della contesa politica, a cui non bastano imperi e battaglie per restituire pace e dignità ai popoli. Lasciò il segno di un nuovo umanesimo politico, basato, per la prima volta, su regole scritte nella pietra, a presidio di tutti, ad ostilità dei pochi.

Nessuno ringrazierà mai abbastanza Napoleone per averci donato, in sorte ed eredità, i suoi codici, le sue leggi, la sua visione giuridica del tempo, come un novello Giustiniano. Nessuno potrà mai negargli di aver acceso le luci sull’universo dei diritti, oscurando per sempre il tempo in cui essi risultavano serrati e negletti nel buio dell’oscurantismo e del silenzio.
Da Napoleone in poi nulla sarà più come prima e nessuna ombra preconcetta avrà titolo di posarsi sulla vita degli uomini, per negarla, compiacerla, commiserarla. Tutto diventerà materia di governo, disciplina, presidio e sanzione: la proprietà, la famiglia, i diritti delle donne, il divorzio, l’eredità, i commerci, il denaro, la ricchezza. Tutto e per tutti, anche per i re, i regnanti, i forti, i privilegiati, gli assatanati o gli equilibristi del potere, che impareranno, da Napoleone in su, quanto difficile sarà legare i privilegi al cieco rigore delle leggi.
Napoleone lasciò, in definitiva, le tracce di molte luci e molte ombre. Ma, messe insieme, esse rischiararono il cammino della storia, aiutandola a trovare la strada delle libertà, dei diritti, persino della felicità, come consacrarono nel marmo le costituzioni illuministe d’America e di Francia e quelle che, in Italia, si fecero nel nome del condottiero Francese, nato Italiano.
Fu vera gloria, dunque? Fu vera gloria. Nei suoi diari di Sant’Elena Napoleone, da buon conoscitore della storia ed ottimo interprete del suo divenire, ebbe a dire: ‘La mia gloria non è d’aver vinto qualche battaglia. Ciò che nulla potrà offuscare e che vivrà in eterno è il mio codice civile’. Fu buon profeta, poiché i suoi codici resistono ancora e sono il fondamento di tutti gli attuali codici d’Europa.
Fu forse questa, tra le mille combattute, vinte e perse, la sua battaglia migliore. Gliene rendiamo merito, in questo 200° cinque maggio.