Attualità

Don Mottola Beato, cerimonia il 10 ottobre a Tropea, lettera di mons. Oliva ai fedeli della Calabria

La celebrazione per l’elevazione si svolgerà il 10 ottobre a Tropea, intanto l’amministratore apostolico della diocesi scrive ai fedeli.

Il rito di beatificazione di don Francesco Mottola sarà celebrato il 10 ottobre, alle 10, nella Concattedrale di Tropea, nel corso di una santa messa a presiedere la quale sarà il cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, delegato. La celebrazione sarà teletrasmessa in diretta, in modo tale da consentire a tutti di potervi partecipare, nonostante le restrizioni anticovid.

In vista dell’evento, storico non solo per la diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, ma per l’intera regione, l’amministratore apostolico della diocesi, monsignor Francesco Oliva, unendosi nella gioia al vescovo eletto, monsignor Attilio Nostro, ha scritto a tutti i fedeli delle Chiese di Calabria.

Qui di seguito, pubblichiamo integralmente il messaggio dell’amministratore apostolico della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Francesco Oliva.

«L’annuncio della data di Beatificazione di don Francesco Mottola è una grande occasione per la nostra terra di Calabria, per ravvivare in noi i doni e i carismi che contempliamo nella sua figura di testimone di fede, di speranza e di carità. San Giovanni Paolo II, rivolgendosi agli Oblati del Sacro Cuore in occasione di un pellegrinaggio a Roma il 15 settembre 2001, ebbe a dire di don Mottola: “Sacerdote generoso e illuminato della vostra cara Diocesi, egli ha lasciato una traccia profonda nella vita ecclesiale e nel contesto culturale e sociale in cui visse, diffondendo l’influsso della sua azione apostolica ben oltre i confini della Calabria”.

È vero: don Mottola ha mostrato l’amorevole presenza di Dio in terra di Calabria, particolarmente agli ultimi e ai poveri, restituendo dignità a coloro che i nuju du mundu. Per essi s’è fatto buon Samaritano, spalancando le braccia e aprendo oasi d’amore, chiamate “Case della carità”.

Sento la carità come un grande poema sinfonico, che scende dal cielo sulla terra e sale dalla terra al cielo”, così scriveva don Mottola illuminato da quella fiamma che ardeva nel suo cuore. Tutta la sua esistenza, da quando era giovane seminarista fino agli anni della sua sofferenza silenziosa, fu sempre tesa in questa direzione: salvare le anime e aiutare la gente umile e povera della sua terra, per la quale era pronto a dare la sua vita. Affermava con grande partecipazione emotiva: “Nella mia terra di Calabria, ho rifatto in ginocchio la Via Crucis: son passato per tutti i villaggi, son sceso in tutti i tuguri, ho transitato per tutte le quattordici stazioni. Ho sentito il singhiozzo della mia gente nel mio povero cuore: la gente di Calabria nel suo itinerario dolorosissimo non ha conforto come Gesù. Ma è Gesù e bisogna confortarlo nella salita necessaria al Calvario”.

L’inizio di un cammino di oblazione

Francesco Mottola nasce a Tropea il 3 gennaio del 1901 da Antonio e Domenica Concettina Bragò. Fu il primogenito di molti figli, di cui sopravvissero con lui il fratello Gaetano e la sorella Titina. Al carattere mite e remissivo del fratello Gaetano, faceva riscontro quello vivace, inquieto e curioso del piccolo Francesco, dotato però di un altruismo che lo portava ad essere delicato e sensibile con tutti. L’ambiente familiare, e specialmente la figura materna, influì tanto sulla sua formazione umana e spirituale. Le preghiere recitate insieme, le semplici e naturali espressioni di ringraziamento per il cibo preso, le visite al Santissimo Sacramento, la devozione a Maria Santissima di Romania, venerata nella Cattedrale di Tropea, il contatto con i Sacerdoti che erano soliti frequentare la sua casa, si dimostrarono molto importanti, facilitando l’apertura del suo animo alla volontà di Dio.

Il seme della vocazione sacerdotale trovò terreno favorevole nel suo cuore. Accolto da piccolo nel seminario di Tropea nel 1911, sarà lui stesso, dopo molti anni, a dare un’immagine di quello che era il “suo” seminario: “Il seminario unito alla Cattedrale da una scala interna forma un tutt’uno con questa, ha come suo, il campanile del Duomo… che sotto incrostazioni barocche, attendeva la risurrezione; ma a noi piccoli, quel chiesone vasto, quelle decorazioni ingenue, quei lampadari di cristallo piacevano, anche per il contrasto con la cappella del seminario nuda e disadorna”. Negli studi riusciva assai bene: lo confermano sia i voti che riportava in modo brillante sia la testimonianza dei suoi compagni che lo indicavano come il più bravo.

Quando aveva appena dodici anni fece la prima grande esperienza della sofferenza: la mamma, che da qualche mese aveva dato alla luce la piccola Titina, in seguito ad una grave crisi depressiva, morì il 21 giugno 1913. Questa perdita segnò di soffusa tristezza la sua infanzia e lo aprì nello stesso tempo al mistero del dolore ed alla sua accettazione nella luce della speranza cristiana. Finiti gli studi ginnasiali, nel 1917 lasciò Tropea per compiere gli studi filosofici-teologici presso il Pontificio Seminario San Pio X di Catanzaro. Su di esso si espresse con parole affettuose e nostalgiche: “Una costruzione solida, quadrata, bella… era il nostro Seminario Regionale: l’Università, come dicevano immancabilmente i carrozzieri di Catanzaro, che ci portavano lassù; ma tutti noi di Calabria sentivamo la gioia del dono che il Papa ci aveva fatto, così regalmente; ci pareva come un riconoscimento pontificale all’intelligenza di questa terra che non ha nessun istituto di cultura superioreL’aveva voluto il Papa: Pio X Santo, nel cuore della Calabria – cor cordium – per raccogliere in unità i cuori di tutti i calabresi. Si viveva in un’atmosfera di gloria non come vecchi nobili decaduti, ma come giovani che vivono il passato per attuare le glorie del presente”. Nel 1918 si sentì come soggiogato dalla grazia fino a decidere di donarsi completamente al Signore “in perfetta oblazione”, desiderando essere “un certosino della strada”.

La forte carica di autenticità e di impegno costruttivo di alcuni suoi compagni di seminario influì notevolmente nel suo animo, tanto che, insieme, diedero vita ad un piccolo centro di fraternità, di studio e di apostolato, denominato “Circolo di Cultura Calabrese”. Lo Statuto da loro redatto, anche se oggi può apparire frutto di entusiasmo giovanile, denota in questi giovani calabresi il vivo desiderio di aprire cuore e mente alle più impegnative esigenze dello spirito. L’ultimo anno di seminario fu costretto a trascorrerlo quasi sempre a Tropea a causa della sua malferma salute. Ordinato suddiacono a Catanzaro il 10 maggio 1923, ricevette il diaconato a Tropea il 25 dicembre e, sotto lo sguardo materno della Madonna di Romania, il 5 aprile 1924 fu ordinato Sacerdote.

Tutto senza riserve

Dotato di una personalità vivace e di ricca sensibilità, don Mottola affrontò fin dagli anni della formazione sacerdotale un cammino ascetico esigente, alimentato dalla quotidiana preghiera, per dominare il proprio esuberante carattere e identificarsi sempre più a Cristo.

Nel Regolamento di vita scrive: “La ruota maestra della mia vita spirituale sarà l’abbandono, completo e assoluto, nel Cuore di Gesù“. Questo totale affidamento a Cristo trova il suo centro e la sua essenza nell’Eucarestia e si configura come una “oblazione” senza riserve a Dio e ai fratelli. La parola chiave della sua vita, della sua spiritualità ed azione è proprio “oblazione”. Alcuni giorni prima della sua ordinazione, annotava nel Diario: “Non ti chiedo, Signore, che di amarti assai, fino alla follia… Vorrei poter scrivere con l’anima che vuol morire per te. Tu puoi farmi santo: a questo ideale io sacrificherei tutto il mio povero essere, tutta la miseria della mia vita… Gesù dammi, se vuoi, le sofferenze della tua vita pubblica, ma anche il tuo amore, l’ignominia e il tuo amore, il disprezzo e il tuo amore… Il mio sacerdozio! Gesù, percuotimi, ma dammi un sacerdozio santo. Quell’ora sarà la più bella della mia vita: verrò a te con la corona di spine, ma col cuore ardente del desiderio di amarti… Lo so, o tutto o niente: è il tuo dilemma ferreo; ebbene tutto. Tutto, tutto: senza riserve, è il mio fermo proposito in questa vigilia d’armi e di sofferenza”.

Da giovane sacerdote mostrò subito grande passione per l’attività pastorale, anche se era solito ripetere a se stesso e agli altri che non bisognava mai lasciarsi sfibrare dal lavoro che andava sempre a detrimento dello spirito. Convinto com’era che la santità non consiste nella sola contemplazione e neppure nell’azione-attivismo, visse la sua vita sacerdotale in perfetta oblazione. Dal 1929 al 1942 fu chiamato a dirigere il Seminario vescovile di Tropea, che, in tale periodo, diventerà un “Cenacolo profumato di Eucarestia”.

«Sto bene, qui c’è Gesù»

Cardine della sua attività sacerdotale era l’Eucarestia. Aveva trasformato la cappella dei Nobili di Tropea in un Cenacolo di Adorazione Eucaristica e, proprio da questa cappella, ai piedi di Gesù Eucaristico, presero consistenza le sue opere di apostolato, che più tardi diedero luogo alle “Case” di carità.

Il sacramento della Confessione era per lui “segno efficace della grazia”, ma anche uno spazio, che, sul piano naturale ed umano, offre la possibilità di salvare e far maturare l’individualità dell’uomo. La sua arte di confessore non era tanto una tecnica quanto l’espressione della sua vita intensamente spirituale e l’attuazione della carità verso Dio e verso il prossimo. Appena trentenne venne affidato al giovane sacerdote il compito delicatissimo di penitenziere della Cattedrale di Tropea. Numerosissimi erano i penitenti che a lui accorrevano: con la sua estrema delicatezza unita ad un’evangelica fermezza, il suo tatto, la sua bontà, la sua umiltà, guidava le anime all’unione con Dio.

Come confessore, diventava un amico che voleva sinceramente aiutarci a divenire amanti di Dio e del prossimo e, spesso, lo si trovava al confessionale anche dopo mezzogiorno. Nei mesi estivi di gran calura, sapendolo sofferente, lo chiamavo per un momento di ristoro e diceva: “Sto bene, qui c’è Gesù: Tutto, tutto, tutto…” (P. Bonaventura Danza, Vita di Don Mottola).

Consapevole che la fede fiorisce nell’amore e dall’ascolto della Parola divina, Don Mottola fece delle sue doti intellettuali non comuni una pista di lancio per la sua missione ed il suo apostolato. Non avviliva la sua brillante perizia oratoria con puri accorgimenti umani e letterari, ma sapeva tradurla con passione, saggezza ed intelligenza. Parlava con profondità di dottrina e con semplicità; spesso era chiamato a guidare i Ritiri e gli Esercizi Spirituali dei Sacerdoti ed invitato nelle varie Parrocchie di Tropea, di Amantea, di Oppido Mamertina, di Nicotera per i Ritiri dell’Azione Cattolica.

Nota dominante e luminosissima della sua attività sacerdotale fu l’amore, attento e costante, per i sacerdoti. Li accoglieva con cuore delicato e paterno, dedicando molto suo tempo all’ascolto. Per molti di loro la sua parola era come un tocco magico, gli incontri con lui un sollievo e un riprendere coraggio. Avviò un’opera di santificazione del clero già con alcuni piccoli seminaristi di Tropea, durante l’anno scolastico 1927-1928. Lo faceva attraverso il sacramento della Confessione, le conferenze e la corrispondenza epistolare, seguendoli con grande impegno e serietà sino all’ordinazione sacerdotale.

Lo stile del movimento oblato

Don Mottola ha dato vita al movimento oblato: “Dell’ideale oblato, ne parlai nel 1928; ma l’idea mi tormentava l’animo da un pezzo e qualche tentativo di unione sacerdotale s’era già fatto attraverso i ‘Cenacoli’. Ai nostri giorni – diceva – è necessario uno sforzo d’interiorità, far di ogni sacerdote un Cenobita della strada: gli oblati rispondono a questa necessità”.

Gli inizi degli Oblati Laici risalgono al 1935, quando era rettore del Seminario di Tropea. Ad alcuni giovani che settimanalmente si recavano da lui per consigli comunicava l’ideale di un apostolato dinamico, animato dalla preghiera tendenzialmente contemplativa, ispirato ai consigli evangelici, vissuto fuori del convento, nella quotidianità, attraverso l’esercizio delle varie professioni, nella famiglia, nelle comunità ecclesiali e nell’impegno sociale. Il senso dell’apostolato oblato consiste nell’unire contemplazione e azione come due polmoni che respirano insieme.

Il gruppo degli Oblati Laici, sebbene ufficialmente sia sorto dopo quello dei Sacerdoti Oblati e delle Oblate del Sacro Cuore, era per lui il “primogenito dell’Idea”, l’Idea che conduce al Regno di Dio. Sin dall’inizio del suo lavoro apostolico Don Mottola aveva avuto delle collaboratrici impegnate nelle sue varie iniziative: assistenza ai poveri, collaborazione in Seminario, attività varie nell’Azione Cattolica. Tanti ed impegnativi erano le urgenze che richiedevano un tempo pieno di dedizione. Le Oblate si dedicavano all’insegnamento del catechismo, specialmente ai rurali ed agli umili, a promuovere l’Azione Cattolica, a servire Cristo in quanti la sofferenza fisica o morale aveva emarginati. Le considerava Carmelitane della strada. Ad esse si aggiungevano le cosiddette Serve della Carità e le Piccole Lampade. Attendevano tutte alla perfezione spirituale mediante la preghiera contemplativa e l’apostolato: restare nel mondo per essere pronte ad ascoltare la voce del dolore e delle solitudini.

Don Mottola non è mai stato semplicemente un intellettuale, un uomo di cultura, nonostante la profondità e la ricchezza del suo pensiero, ma ha sempre cercato di vivere la logica dell’incarnazione tra le vicende umane, sociali e spirituali della sua gente. Mai fu vittima della tentazione di estraniarsi dal mondo o di chiudersi nella cella del suo mondo: i suoi non erano i sogni astratti di chi vive fuori dalla realtà, ma espressione del grande desiderio di preoccuparsi degli altri, di avere gli occhi aperti sul bisogno del fratello. Portare Cristo agli altri era la sua vera inquietudine, sempre mosso dalla passione di testimoniare Cristo apertamente, senza riserve.

La sua era una spiritualità contemplativa e attiva, perfezionata dalla dimensione oblativa: vivere come certosini e carmelitane della strada, dove la cella è il cuore, lo spazio dell’offerta è la vita donata nel servizio del proprio stato di vita. Amava dire: “l’apostolato di fatto scende dalla pienezza della contemplazione: come dai nevai la forza dei fiumi, che pur tornano al mare ansiosi di azzurro, per essere riassorbiti dal sole”. L’apostolato per lui era un contemplare ed immergersi nel mistero della Trinità, nel mistero di Cristo e della Chiesa. Alla luce di questa contemplazione era possibile vedere e amare l’uomo, il creato e la realtà quotidiana. Era questo lo sguardo e il cuore che doveva avere ogni presbitero chiamato a narrare con la propria vita l’amore di Dio per il suo popolo. Era questo il sogno di don Mottola che attirò a sé un gruppo di donne, che formeranno poi l’Istituto secolare delle Oblate del Sacro Cuore, un gruppo di donne che “fossero il Cristo che passa ancora sulla terra di Calabria, vivendo l’apostolato del profumo divino da lasciare attorno a loro”.   Per fare ciò, occorreva farsi “prestare gli occhi divini di Cristo e attraverso le sue pupille, vedere tutte le cose. Le cose acquistano così unità, verità e bellezza”.

Le Oblate del Sacro Cuore ebbero il riconoscimento vescovile nel 1968 e quello pontificio nel 1975.

Certosini della strada

Essere certosini della strada: ecco il vero carisma e la missione che don Mottola affidava agli Oblati e alle Oblate e a tutti i suoi figli e figlie spirituali. Ma era anche la missione che riconosceva propria di ogni presbitero e di ogni cristiano. Una intuizione profetica che scaturiva dall’idea che non vi può essere azione senza contemplazione: la contemplazione è la sorgente autentica di ogni azione e apostolato sia dei sacerdoti che dei laici.

Non c’è esperienza cristiana che non sia una sintesi armonica tra contemplazione e azione, inscindibilmente legate tra loro, secondo il noto principio: “Contemplare et contemplata aliis tradere“, contemplare e dare agli altri le cose contemplate.

Sul modello di Maria, alla quale don Mottola faceva sempre riferimento con fiducia filiale, imitandola sia nella «contemplazione» che nel «servizio», e additando ai suoi Oblati questa perfetta integrazione come una vera e propria «santità sociale», una forma di apostolato efficace per i nostri tempi. Questa spiritualità, che, non rinunciando al primato della contemplazione, sprona a vivere i consigli evangelici nel mondo e ad accogliere i bisogni dei fratelli, non poteva non essere feconda di iniziative e di attività a favore dei poveri e dei bisognosi.

Le Case della Carità

Fiore all’occhiello della sua attività caritativa sono le numerose istituzioni assistenziali, definite “Case della Carità”. Al centro della sua missione sacerdotale vi era sempre posto per i poveri, per gli ultimi, per i “nuju du mundj”, per “lo scarto della società”, secondo l’espressione di papa Francesco. Diceva: “Noi siamo al servizio dei poveri sia dei vecchi che dei bambini; quindi, si bandisca da noi ogni egoismo. I vecchi si venerino come cosa sacra, i bambini si educhino con cura materna. Ad ognuno si cerchi di dare la propria via: lo studio, il cucito, il ricamo ecc. Prima si dia una formazione solida, fatta non di sentimento, ma di pensiero, di fede, di carità. Si formano non con la rigidezza di un Istituto, ma con l’amore di una famiglia: la nostra grande famiglia”. Per questa umanità umiliata e privata della sua dignità ideò una “Casa d’oro”, “una casa grande, la casa di tutti, una casa bella, prospiciente il mare, dall’orizzonte largo”. La Casa della Carità doveva essere uno spazio di umanità, “che accoglie i rifiuti di tutti. Non chiede nulla, ma ha bisogno di tutto e aspetta ogni giorno che arde, l’adempimento della promessa di Cristo Gesù” (Faville della lampada).

Questo suo sogno di grande bellezza troverà la sua realizzazione nella prima Casa della carità, che fu inaugurata l’8 dicembre 1936. Un tugurio con tre vecchiette e due bambine. L’inizio umile di un percorso di carità senza limiti. Ad essa seguì la realizzazione di altre case della carità a Tropea marina, a Parghelia, a Limbadi, a Vibo Valentia, a Roma e dopo la sua morte la Casa di preghiera “Oasi Maranatha” in località Corello e la Casa di riposo “Don Mottola” a Tropea.

Come oro nel crogiolo

Nei primi mesi del 1941, appena quarantenne, cominciò a manifestare i segni di un’evidente stanchezza. La fragilità del suo stato fisico traspare già nel suo diario: “Da Reggio a Tropea, da Tropea a Firenze, e prima di Reggio a Salerno, ho peregrinato da anima a anima. Ma sento tremendo il vuoto di una conquista che non sia conquista interiore di Dio… Sono ora alla casa della Marina, la Casa tua!… Domani sarò a Limbadi, lunedì riapro il Seminario e comincia la mia… pena. Avanti! Ti sento, Gesù, più che mai in me. Ma bisogna che io muoia. È urgentemente necessario che io crocifigga il mio pensiero, il mio cuore, la mia volontà. Sono tre croci mie accanto alla tua divina!”.

Era verso giugno del 1942, quando, giunto alla stazione di Reggio, Don Mottola cadde a terra privo di sensi. Iniziava così il suo calvario durato ben ventisette anni! Ebbe modo di vivere il Vangelo della sofferenza, senza mai perdersi d’animo. Non uscì mai dalla sua bocca – come afferma la sorella Titina – “un’espressione d’insofferenza… Ha sempre accettato con serenità e gioia… In tutti questi anni ha sempre rispettato con estrema puntualità gli impegni di vita cristiana”. A tutti infondeva forza e speranza. Bastava vederlo celebrare la Santa Messa, per rendersi conto della profonda relazione che aveva con Dio. L’immobilità fisica non fermò, anzi rese più intenso ed efficace il raggio della sua influenza, incidendo in profondità nelle coscienze e lasciandoci una eredità spirituale di grande attualità. Mai si rese estraneo al mondo che lo circondava. Seguiva con interesse ed entusiasmo i lavori conciliari. Il dolore lo portò ad offrirsi come vittima in una oblazione continua per il raggiungimento di una santità contemplativa.

All’alba del 29 giugno 1969, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, rese il suo spirito a Dio, dopo essersi speso e consumato sino all’ultimo giorno.

Eccomi, eccomi, eccomi qui…’. Sono le parole che possono esprimere in estrema sintesi la ‘meravigliosa avventura’ di una vita sacerdotale interamente offerta.

Un cammino di santità per tutti

Dopo la sua morte, ben presto fu invocata l’apertura dell’inchiesta diocesana sulle virtù. Per questo Don Michele Loiacono ed Irma Scrugli, eredi spirituali del Servo di Dio, l’8 dicembre 1973, nominarono Don Domenico Pantano postulatore diocesano per il Processo cognizionale per la Causa di Beatificazione. Il 24 dicembre 1973 Don Pantano presentò il Libello per l’apertura della Causa al Vescovo del tempo Mons. Vincenzo De Chiara, che il 19 gennaio 1974 autorizzava una prima raccolta del materiale necessario. Il vescovo del tempo Domenico Tarcisio Cortese il 26 febbraio 1980 si rivolse alla competente Congregazione delle Cause dei Santi, che il 13 ottobre 1981 diede il nulla osta all’inchiesta diocesana aperta solennemente, alla presenza dell’episcopato calabro l’11 febbraio 1982. Il Tribunale diocesano concluse i lavori il 29 giugno 1988. Esaminata la documentazione, nel corso della fase romana Don Mottola è stato dichiarato Venerabile da Papa Benedetto XVI il 17 dicembre 2007. Il 9 dicembre 2011 è stato nominato nuovo postulatore don Enzo Gabrieli che ha seguito la seconda fase, il processo sul miracolo ad un giovane seminarista (Felice Palamara), la notte tra il 13 e il 14 maggio 2010 attribuito all’intercessione del Venerabile don Francesco Mottola. Sulla guarigione, ritenuta miracolosa, presso la curia diocesana di Mileto-Nicotera-Tropea dall’8 maggio 2012 al 5 aprile 2013 fu istruita l’Inchiesta diocesana, passata alla fase romana nel 2014; dopo l’esame della consulta medica, il Congresso dei teologi e la Sessione ordinaria dei padri Cardinali e Vescovi, il 2 ottobre 2019 papa Francesco ha ordinato la firma del Decreto per la beatificazione.

In data 12 agosto 2021 il Santo Padre Francesco ha dato via libera alla celebrazione del rito di beatificazione, delegando il card. Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione della Causa dei Santi. Con il rito di beatificazione, la Chiesa addita e propone il sacerdote don Mottola come un maestro, un testimone vero di fede, di speranza e di carità, un sacerdote cui i presbiteri tutti, e della Calabria in particolare, possono e debbono guardare con fiducia e speranza. Un sacerdote che ha saputo scrivere con la sua vita una testimonianza di amore. San Giovanni Paolo II, incontrando a Catanzaro i sacerdoti calabresi, additava loro questi due modelli: “… i servi di Dio don Francesco Mottola di Tropea  e il P. Gaetano Catanoso di Reggio Calabria, che hanno vissuto la loro vita sacerdotale dando quotidiana e coerente testimonianza di una forte tensione per l’elevazione morale e religiosa e per il riscatto sociale della propria gente”. Padre Gaetano Catanoso è già Santo, don Mottola sta per essere proclamato Beato.

In don Mottola è possibile vedere il vero volto del sacerdote, di ogni sacerdote, ed in particolare quello dei Sacerdoti del Sacro Cuore, chiamati a vivere da “cenobiti” della strada. Il suo è un percorso di santità che vale per tutti! Don Mottola amava ripetere: “L’apostolato di fatto – per cui abbiamo rifiutato la cella e siamo rimasti viandanti nel mondo – discende dalla pienezza della contemplazione: come dai nevai la forza dei fiumi, che pur tornano al mare, ansiosi di azzurro, per essere riassorbiti dal sole“.

Il nostro tempo ha bisogno di spiritualità, recuperando il valore dell’interiorità. E’ un tempo difficile che invoca il ‘movimento oblato’, il dinamismo della carità e della globalizzazione della solidarietà. Quello che ha dato vita alle Oblate ed agli Oblati del Sacro Cuore, che, solo seguendo la via indicata da don Mottola, sono in grado di esprimere la loro donazione a Dio ed ai sofferenti nella vita frenetica del nostro mondo. Il loro carisma può fare tanto bene alla Chiesa ed alla società. E’ il carisma che porta ad “attendere alla perfezione spirituale mediante la preghiera contemplativa e l’apostolato: restare nel mondo per essere maggiormente pronte ad avvertire la voce del dolore e della solitudine” (don Mottola). E’ il carisma che ogni cristiano, giovane o adulto, celibe o coniugato, può vivere nell’adempimento dei doveri del proprio stato sia collaborando nelle attività parrocchiali che impegnandosi nell’animazione della vita familiare con “il ritorno di Cristo nelle famiglie”.

Tempo di grazia!

E’ un tempo di grazia l’attesa e la beatificazione del nostro amato don Mottola, che avverrà il 10 ottobre 2021: il venerabile Servo di Dio sarà elevato all’onore degli altari ed iscritto nel Calendario dei Santi di questa Chiesa. Un tempo di grazia per imparare a conoscere ed amare un sacerdote vero, che non si piegava ai compromessi ed alle mezze misure. “Lo so o tutto o niente: è il tuo dilemma ferreo, ebbene ho scelto: tutto!” Eccomi tutto! Tutto per Cristo e i fratelli! A tempo pieno col Signore, senza finzioni o ipocrisie! Vedere tutto in Cristo e conseguentemente amare tutto in Lui. “Amore di Cristo e dei fratelli in Cristo, dei fratelli che sono Cristo”. Una visione cristocentrica quella di don Mottola, ancora tanto preziosa. La sua è la testimonianza di un innamorato di Cristo, sempre pronto a seguirlo anche quando c’era da affrontare lunghi anni di malattia, un calvario attraverso il quale era possibile la conformazione a Cristo Crocifisso. “Usque ad sanguinem!”, come soleva dire. Era l’oblazione del sacerdote don Mottola, che vedeva il sacerdote come l’uomo che fa l’Eucaristia, come Cristo si fa Eucaristia: “Diventare buon pane, per essere mangiato fino all’ultima briciola”. Dal sacerdote si aspettava “un amore senza ritorni, senza riposi, senza confini”.

Don Mottola è stato un prete vero, semplicemente prete. Esemplarmente attento ad ogni prete, alla loro formazione a tutto campo. Loro padre nella fede e nella vita. Un riferimento importante per il clero calabrese. Per l’attualità dei suoi insegnamenti e la testimonianza di una vita sacerdotale interamente donata a Cristo ed ai fratelli. Questa beatificazione è un evento di grazia per tutti i sacerdoti di Calabria».