Timori e tumori individuali e pandemie collettive dalla dimensione locale al trauma globale nel dramma della cura. Vorrei parlare di vari casi personali ma non so se posso farlo allora vi parlo di me sperando di parlare per tutti.
Nell’immaginario vacanziero si dice e si sa che non c’è niente di meglio che respirare l’aria pura estiva di un piccolo paese di mezza montagna e riprendere un po’ di sano colorito sulla pelle chiara smunta dalla vita invernale metropolitana. Come per noi ad esempio a Vallelonga, ameno paese del Vibonese in Calabria. Ma, contro l’immaginario, proprio lì nascosto tra le pieghe delle chiacchere del nostro paese scivola da tempo anche un inquieto interrogativo: perché un certo numero di malati in un luogo così piccolo? Perchè la manifestazione di diversi malanni in un ambito così ristretto? Ciò si vede e si conta chiaramente nel nostro paesino quando incontro i paesani, invece altrettanto non si vede in una grande città, come Torino, perché sfugge nel calcolo statistico del quadro medico ospedaliero di persone anonime allo sguardo. Almeno tutto questo è stato così finché non è arrivata la grande peste a livellare le differenze e a immergerci nel trauma della malattia, nel dramma collettivo e nella difficoltà della cura.
Il nome dell’attuale pandemia è Covid-19, sigla scientifica di COronaVIrusDisease-2019 (provocata da un virus, appartenente al genere Coronavirus, identificato nel 2019) che indica la malattia provocata negli esseri umani dal virus SARS-CoV-2 e caratterizzata da febbre, tosse, difficoltà respiratorie, mentre nei casi più gravi può manifestarsi come polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale, portando persino alla morte e scopriremo proprio che si muore e che sono (siamo) morti in tanti. È cominciata a diffondersi tra noi (si dice provenendo dall’oriente attraverso commercianti o militari del via vai globale) nel fine febbraio e inizio marzo del 2020. Ci hanno detto che era una forma aggressiva di influenza, ci hanno imposto repentinamente di isolarci gli uni dagli altri, anche nella propria casa. Le scuole sono state chiuse, i locali sono stati chiusi, i negozi limitati, i lavoratori distanziati. All’inizio siamo stati tutti abbastanza increduli poi, piano piano, il panico si è diffuso e siamo sprofondati nelle nostre sindromi esistenziali. Gli ospedali abbastanza velocemente sono scoppiati, non ci sono stati posti a sufficienza per i casi gravi che si sono moltiplicati, tutto per colpa di più di trent’anni di aziendalizzazioni e privatizzazioni, insomma di smantellamento del sistema sanitario nazionale pubblico (che funzionava) che ha prodotto il disastro del servizio e amplificato a dismisura il danno umano e sociale. E così abbiamo visto anche nell’universo mondo (maledetto neo liberismo dei potenti della terra globale). E ancora non è finita.
Anche Vallelonga, tra la primavera e l’estate del 2020, non è più stata la stessa; tutte le sopportabili difficoltà di vita sociale, di un paese che sta diventando sempre più piccolo per la strisciante e silenziosa ripresa dell’emigrazione soprattutto dei più giovani calabresi verso il solito famelico e aggressivo Nord, sono diventate, con la pandemia insopportabili forme di drammatico isolamento e di annullamento di ogni sforzo collettivo. Non ci si può più incontrare per le strade e ‘ntra la chjazza, non si può più fare la spesa assembrati nei negozi e nei supermercati, non si può più far la festa della Madonna di Monserrato, non si può più fare la fiera del mercato. E anche quando ci sfioriamo a distanza siamo tutti con il volto coperto da mascherine chirurgiche e paraventi di plastica, nuove tragiche maschere del nuovo millennio che ridicolizzano i nostri volti o normalizzano i veli delle nostre donne in nero degli anni cinquanta o i burka delle nostre immigrate donne islamiche degli anni novanta; siamo ormai tutti velati e burkizzati, singoli ridotti a individui indecifrabili di una massa sempre più anonima. Così anche nella sovradimensione di Torino. E ancora non è finita.
Intanto nel 2021 è arrivata anche la tragedia più personale, è arrivata in primavera inoltrata, è arrivata come un lampo senza pioggia, è arrivata con la malattia di mia cognata: un tumore al pancreas con metastasi diffuse nell’addome. Sua sorella, mia moglie, non è riuscita a parlare per tre giorni, allora abbiamo deciso di scendere inaspettatamente a Vallelonga. La situazione era palesemente drammatica. La prognosi terribile. La famiglia sconvolta. Paradossalmente, per un destino stavolta benevolo, si è salvata solo mia suocera, la madre, che essendo malata di demenza senile avanzata da almeno tre anni non si è resa conto di nulla. Il soccorso emotivo dei familiari ha sollevato, anche se di pochissimo, gli animi; il soccorso medico dei sanitari di Germaneto presso Catanzaro (insperata eccellenza nel disastro socio-storico ospedaliero calabrese) ha determinato il resto. È iniziato comunque il calvario della cura chemioterapica.
Sempre in questo maledetto 2021, è arrivata in autunno inoltrato anche la mia tragedia più personale: un tumore all’addome, un linfoma di tipo B con adenomi sparsi. Mia moglie è risprofondata nel dolore e nell’angoscia. I miei figli e famigliari sono stati altrettanto sconvolti. Paradossalmente si è salvata sempre e solo mia suocera. Il soccorso emotivo di chi mi ha circondato (e mi circonda) mi ha sollevato l’animo; il soccorso medico dell’ospedale Molinette di Torino mi ha dato insperate speranze di un protocollo di cura collaudato. È iniziato comunque anche il mio calvario di cure chemioterapiche. Il punto critico di queste cure, come si sa, consiste nei vari, più o meno prevedibili, effetti collaterali per tutto il tuo corpo.
A distanza di circa sette mesi, nel difficile inverno del 2021, mia cognata è stata mezza salvata, le metastasi sono sparite, la prognosi è meno pessimistica, anche se il tumore c’è ancora. A distanza di circa sette mesi, nella fragile primavera del 2022, sono fermo al settanta per cento della guarigione, mentre il mio corpo cede pezzi agli effetti collaterali. Ma i medici dicono che clinicamente ci siamo, crediamogli e crediamoci.
Apro ora il discorso alle mancanze determinate da queste pandemie e malattie, come altri e ulteriori drammatici effetti collaterali sulle persone. Prima vi parlo delle mancanze apparentemente meno drammatiche o gravi ma che ritengo socialmente e personalmente alquanto significative. Dopo trent’anni di ininterrotte vacanze a Vallelonga quest’anno abbiamo dovuto a malincuore rinunciare ad andarci. Dopo cinquant’anni di initerrotte giornate di lotta dei lavoratori nel rito storico del Primo Maggio a Torino quest’anno ho dovuto tristemente rinunciare. Ecco la rottura dolorosa dei riti e dei miti a cui la malattia ti piega irrimediabilmente. Ed ecco un altro più generale e triste elenco: dalle vietate visite ai malati alle negazioni del conforto ai morti, dalle annullate cerimonie religose alle distrutte comunioni civili, dalle nuove nascite di figli e nipoti agli imminenti matrimoni di parenti e amici. Da Vallelonga a Torino, e così in tutto i paesi del mondo, è un pandemia dell’anima e della coscienza comune. In che nuovo millennio stiamo sprofondando? Nonostante tutto sono e resto ostinatamente ottimista, anche se sta accadendo troppo tanto che è ormai così eccessivamente devastante, ma non ci resta che prendere atto dell’infausto percorso e procedere atterriti o imperterriti nel cammino, sapendo che non c’è altro che si possa fare se non portare e sopportare la propria croce.
Riapro la parentesi del discorso, stavolta alle mancanze ancora più personali, un po’ più drammatiche e gravi e che purtroppo ritengo molto più significative. Molte persone sono fuggite e addirittura scomparse al loro ipotetico sentimento di altruismo, dai più o meno presunti amici ai più o meno parenti stretti, quest’ultimi sono risolutamente mancati nella presenza o nella vicinanza, nell’attenzione alla cura anche se a debita distanza. Molti si sono chiusi nel nodo inverosimile della loro piccola anima, nella durezza ignobile della loro egoistica coscienza, sprofondando nel bisogno schizofrenico del contatto dis-umanizzato. Ecco la rottura dolorosa dell’empatia umana: è venuta a mancare la forma del riconoscere e riconoscersi nella sofferenza dell’altro che tanta comprensione etica e compassione sincera produce nel nostro vivere civile. Ma non voglio far nomi e non voglio condannare, dico solo che ci vorrebbe per costoro un percorso innovativo di aiuto psicologico e sociale diretto o indiretto. Pertanto ai più o meno isolati e volenterosi lettori di queste mie righe suggerisco almeno di leggere tre brevi libri di recente pubblicazione: Oltre le passioni tristi, dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa, di Miguel Benasayag, edizioni Feltrinelli 2016, Il Manifesto della cura, per una politica dell’interdipendenza di The Care Collettive, edizioni Alegre 2021, La felicità negata, di Domenico De Masi, edizioni Einaudi 2022. Chissà se un minimo di conforto e di comprensione possa venir fuori dal gesto apparentemente innocuo di una semplice e tutto sommato facile lettura e che ciò possa, in qualche modo, anche spingerci fuori dal nostro isolamento interiore e sociale.