Le necessarie riflessioni di un dirigente scolastico
“La scuola è malata; la sua malattia pervade la società; senza una adeguata scuola un paese è destinato al declino, poi al disastro; l’istruzione è la linfa vitale di una nazione”.
Dalla fine degli anni 90’ sentiamo ripetere – ad libitum – le locuzioni citate.
In tempo di pandemia – nel quale ancora ci si trova, con buona pace di improvvisati saccenti – d’improvviso la scuola è argomento di Agorà quotidiana
Per affrontare i problemi strutturali che la affliggono? No, giammai: per discutere di d.a.d, d.i.d, p.n.s.d, avanguardie educative, tablet, obbligatorietà o facoltatività dei vaccini (ed il fatto che si debba ricorrere all’obbligo dopo oltre 4 milioni di decessi nel mondo e più di 129mila in Italia ad oggi, la dice lunga). Una riflessione pedagogica sulla scuola? Neanche a pensarci. Come e che cosa dare ai nostri allievi per metterli nelle condizioni di costruire il loro domani, passa inesorabilmente in secondo piano; i problemi son sempre lì: irrisolti, non irrisolvibili.
Così di recente il ministro Bianchi: c’è bisogno di una riforma della scuola. Eddai, ho pensato: ci risiamo!
Dopo quelle targate Berlinguer, Moratti, Fioroni, Gelmini, Giannini, pronti per l’ennesima svolta epocale che, come il facite ammuina di borboniana memoria, lascerà tutto esattamente com’è!
Altri fondi sono stati stanziati, altri slogan utili per conferenze stampa o acefale dirette social sono stati coniati: gli annunci imperano, lasciando vecchie questioni a tempi sempre uguali.
Confesso che quando il problema delle classi numerose (impegniamoci a non associare il termine “pollaio” ai nostri allievi ed alle nostre classi) arrivò in parlamento – addirittura con interventi falsamente appassionati di chi fu artefice dell’aumento dei parametri alunni/docente – ho sperato che finalmente si stesse per affrontare con serietà il problema più cogente dalla scuola; vana illusione.
L’attenzione al numero di alunni per classe del periodo ottobre/febbraio scomparve nel mese di marzo, quello strategico per la determinazione del c.d. “organico di diritto”.
C’era l’occasione – ma evidentemente assente la volontà – per cambiare nel profondo il mondo della scuola: classi con non più di 15 allievi.
È solo così che si può garantire un’azione didattica degna di questo nome, consentendo di valorizzare le potenzialità avviandole verso approfondimenti e potenziamenti, ed affrontando eventuali difficoltà per tempo con azioni di recupero mirate.
Meglio sarebbe superare il concetto di classe, evitando finalmente ai ragazzi ore ed ore sui banchi (mono/biposto, con rotelle, eliche o pattini) per favorire didattica laboratoriale e percorsi individualizzati, realizzabili dando respiro all’autonomia scolastica e con classi non numerose.
Quantità eccessiva di alunni per classe e qualità della didattica, sono strade che confliggono.
Quattro punti da considerare con tempi opportunamente distesi, superando miopi logiche di legislatura e stantie primogeniture:
– edilizia scolastica intesa soprattutto come creazione di nuovi ambienti di apprendimento;
– diverse modalità di selezione e reclutamento dei docenti (che decideranno nel corso del loro percorso universitario se scegliere questa professione) e dei dirigenti scolastici;
– seria, costante e continua formazione in ingresso ed in servizio di tutto il personale scolastico;
– allievi per classe: 15 al massimo.
C’è bisogno di una “riforma” per attuarli? Certo che no. È urgente che, almeno nel “caso di specie”, si superi l’illogica contrapposizione politica; perché non c’è la scuola di centro destra o di centro sinistra, sovranista, movimentista, populista o popolare: c’è la scuola italiana, orgogliosamente pubblica e libera, che ha bisogno di serietà e competenza: non di … svolte epocali!