Cultura

La res publica è res populi

I romani chiamarono “repubblica” lo stato in quanto “cosa pubblica”, cioè cosa di tutti: questo è infatti il significato letterale dell’espressione latina res publica. Nel linguaggio politico moderno, il termine “repubblica ” – contrapposto alla monarchia – indica una forma di stato in cui la carica di capo dello stato è elettiva e con mandato temporaneo. Il significato più profondo del termine repubblica, tuttavia, va al di là dell’aspetto puramente istituzionale. Tornando all’etimologia di questa parola –  res publica- è bene chiedersi: quando lo stato è veramente cosa di tutti?
 Per Cicerone, oratore ed uomo politico romano vissuto nel I secolo a.C., la res publica è il bene comune, la comunità retta da leggi. Leggi che ogni popolo si è dato, in quanto la res publica è res populi, “cosa del popolo”, intesa come società organizzata che ha per principio fondamentale il consenso a una legge comune. Possiamo così intendere che la repubblica è incompatibile con qualsiasi forma di governo che faccia prevalere l’interesse privato su quello pubblico, spirito di fazione su quello di concordia.  A questi due pilastri fondamentali, Cicerone affiancava il principio di libertà, che coincide con l’autogoverno, perché solo nello stato in cui il popolo ha il sommo potere persiste la vera libertà, che comporta l’assoluta uguaglianza di diritti.  Bisogna sicuramente tenere in considerazione che il popolo di cui Cicerone parla, era in realtà una minoranza di aristocratici e benestanti; ma allo stesso tempo la domanda fondamentale è: cosa tiene uniti i cittadini di una repubblica? La risposta per molti autori storici del passato è la virtù. Abbiamo una repubblica quando domina la virtù, quel sentimento che porta i cittadini ad anteporre il bene dello stato al proprio interesse. Dunque ogni repubblica ha bisogno della virtù, perché in essa c’è il senso civico dei suoi cittadini.
Il senso civico italiano, vinse in Italia nel 1946, con quel referendum che rappresentò un vero e proprio travaglio. Non solo perché fu la prima volta che le donne votavano per il Parlamento e per un referendum, ma soprattutto perché grazie alla virtù cittadina, l’Italia ritrovava se stessa dopo il buio del fascismo. Ed ancora quella virtù che tiene uniti i cittadini della repubblica si ricorda nelle parole della giornalista Anna Garofalo: «Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere, hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore.»