All’interno del periodo medievale, il problema della libertà e della non libertà contadina, e più in generale delle
classificazioni legali e dottrinarie delle dipendenza ad un signore è un tema complesso, perché deve tenere conto di
molteplici fattori. Nella storiografica medievale, il tema rappresenta una di quelle questioni che ha appassionato gli
storici, ma di cui risulta difficile cogliere la portata concreta così come l’effettivo impatto sulle forme di dominio e
assoggettamento. Fra le forme di assoggettamento imposte agli abitanti delle campagne, vi erano mille differenze, a
seconda dei luoghi e degli individui. Nel Mezzogiorno medievale, il mondo della dipendenza contadina era un
mosaico variopinto. Bisogna considerare anche che l’assoggettamento variava in base alle trasformazioni sociali,
economiche e politiche in corso. Spesso la storiografica, ha appiattito i contadini in una generica condizione di
asservimento e di mancanza di libertà; ma ciò è un errore, considerando che un elemento che accomunò i villani
meridionali fu proprio il fatto che la loro condizione non era socialmente e giuridicamente percepita come status
servile. Alcuni storici parlano di condizione servile tutte le volte che le fonti attestano l’esistenza di determinati
vincoli personali e patrimoniali, dando poco peso alle concezioni giuridiche del tempo. Si riteneva legittimo
considerare sottoposto a servitù chiunque subisse gli oneri signorili di chevage (tassa fissa e personale), la
manomorta (il diritto da parte del signore a tassare la successione di un sottoposto) e il divieto di matrimonio
all’esterno del gruppo dei dipendenti signorili. Ma è importante secondo me, tenere in considerazione un altro
elemento: si può parlare di servitù solo se i contemporanei avevano sviluppato una nozione chiara di questo statuto,
sia sul piano giuridico che sociale. Questo perché è bene ricordare che l’idea della servitù era innanzitutto uno
schema e un lessico della subordinazione, e che i contemporanei vi ricorrevano a seconda dei contesti, delle
dinamiche politiche e della congiuntura economica. All’interno delle fonti storiche, la sola eccezione di una
condizione non libera ben caratterizzata sul piano giuridico ed applicata ad una vasta parte del mondo contadino,
riguarda gli abitanti di quattro casali del Monastero calabrese di S. Stefano del Bosco (Serra San Bruno), che nel tardo
XII secolo era passato dall’ordine certosino a quello cistercense. Nel 1224, una lettera di Federico II dichiarava che gli
abitanti all’interno dei quattro casali, erano tutti servi, che i loro beni mobili e immobili spettavano al monastero e
che dovevano restare in perpetuo in nuda servitus. Sull’assoggettamento, merita un’analisi dettagliata, il problema
delle limitazioni alla mobilità. All’interno delle campagne meridionali, le attestazioni di obblighi di residenza erano
numerose. Il diritto all’emigrazione intorno al 1200 veniva ampiamente menzionato, perché comportava il
pagamento di un’imposta specifica, l’exitura. Tassa di ammontare variabile, che spesso garantiva anche la libertà di
vendere ad altri sottoposti del signore i beni ricevuti in concessione, e in particolare la vigna e la casa, cioè i possessi
più valorizzati dal lavoro dell’emigrante. Se l’exitura veniva pagata, il consenso all’emigrazione non era negabile.
Motivo per cui tale tassa, è stata generalmente considerata come una prova della facoltà signorile di imporre
l’obbligo di residenza, e come un ulteriore esempio del diffuso fenomeno di conversione in denaro dei diritti del
signore. In assenza di esplicite definizioni di uno statuto servile, probabilmente, l’elemento che ha più spinto gli
storici del meridione a parlare di una servitù di massa è la comparsa nei documenti di Homines franci o liberi, distinti
dagli altri abitanti di una data signoria. A Cosenza, i franci erano circa un terzo degli oltre mille dipendenti vescovili
registrati nella platea del 1223. Costoro dovevano in misura ridotta canoni, corvées e altre prestazioni di lavoro, e
usufruivano di uno statuto privilegiato (di norma ereditario) come corrispettivo del servizio armato a cavallo, altre
volte in seguito a concessioni compiute dall’abate o da grandi ufficiali monastici. Il mondo dei franci era dunque
quello di una libertà intesa come privilegio rispetto alla normale prestazione degli oneri signorili. Condizione elastica
e variegata, dal momento che veniva contrattata localmente. Sulla dipendenza contadina anche le leggi dei sovrani
esercitarono un certo influsso. Fra le trasformazioni in atto nei rapporti di dipendenza, la legislazione regia si realizzò
in una dialettica complessa. Le leggi miravano a tutelare i diritti fiscali e patrimoniali della corona di fronte alla
concreta evoluzione dei rapporti di forza nelle campagne, ma è probabile che reagissero anche agli sviluppi del
pensiero giuridico. La tutela dei diritti fiscali, andò con il tempo ad aprire una nuova fase: la collocazione del signore
e dei suoi poteri all’interno dei processi produttivi. La società di villaggio produceva e tratteneva ricchezze. Così la
giustizia e il comando da parte dei signori, costituì un’istanza superiore di protezione e mediazione fra signori e
sottoposti, favorendo l’articolazione interna dei mondi rurali e condizionando in molti altri modi le vicende dei poteri
nobiliari e delle società da essi dominate.