Costume e società

La grande defluenza del vino calabrese nella storia

La Calabria, regione lunga e stretta, caratterizzata per il suo differente territorio collinare, costiero e montuoso, vanta fin dall’antichità una notevole fama per la viticoltura. Sulla vite, numerosi ritrovamenti fossili in particolare nelle regioni mediterranee, attestano che sin dall’inizio dell’Era Terziaria apparvero in Europa piante appartenenti alla specie botanica Vitis“. I ritrovamenti fossili ci mostrano piante molto diverse dalla vite moderna, diversità dovute alle mutazioni climatiche avvenute durante il corso del tempo. I ritrovamenti di semi di uva risalenti al Neolitico, ci fanno credere che l’uomo europeo usasse già l’uva nella sua alimentazione. Nell’Età del bronzo sono state ritrovate in Italia solo tracce della vite selvatica, elemento che porta ad escludere la possibilità che in quell’epoca l’uomo si dedicasse alla coltivazione della vite.  Senza dubbio si può però asserire che la vite, esisteva prima dell’apparizione dell’uomo. Le prime tracce di coltivazione della vite a scopo produttivo risalgono a circa 2000 anni fa in CalabriaeSicilia. La coltivazione della vite nell’Italia del sud, si è probabilmente sviluppata a seguito delle antiche attività commerciali con la Civiltà Minoica. Sulla costa ionica della Calabria, sorge Cirò, dove il vino si produce sin dai tempi della Magna Grecia. La leggenda narra che Filottete, di ritorno in patria dopo la guerra di Troia, fondò le città di CrimissaePetelia, le odierne Cirò e Strongoli. “Crimisa” è il nome che probabilmente deriva da quello di una colonia greca, Cremissa, dove sorgeva un importante tempio dedicato al dio del vino, Bacco. Si dice che il “Crimisa” (o Cremissa) fosse, nell’antichità, il “vino ufficiale” delle Olimpiadi. La storia del vino di Cirò, risale quindi ai primi sbarchi dei coloni greci sulle coste Calabresi, ove rimasero talmente impressionati della fertilità di questi vigneti che gli diedero il nome di “Enotria” (che rimanda al significato di territorio dove si coltiva la vite alta da terra); nome che venne poi esteso in tutta Italia. I greci seppero dare un grande valore a questi vigneti, tanto da sostenere che un appezzamento di terra coltivata a vite, valeva per sei volte un campo di cereali. I greci e successivamente i romani, consideravano sacra la pianta della vite e nelle regioni del sud Italia la viticoltura non smise mai di fiorire. A seguito dell’espansione dell’Impero e del dominio romano sui territori del mediterraneo, tra il V e il III secolo a.C., l’economia rurale e la viticoltura subirono profonde trasformazioni. La viticoltura e l’enologia furono perfezionate dai romani grazie anche all’aiuto di schiavi greci e asiatici. La bontà del vino italiano, diventò ben nota e la sua fama aprì la strada alle esportazioni di prodotti enologici. La crisi dell’Impero Romano portò, ad una riduzione considerevole della pratica della viticoltura, al punto che la fine dell’Impero sembrò quasi trascinare con sé anche tale pratica. Durante il periodo bizantino, ci pervengono i nomi di Rossano e Santa Severina, situate rispettivamente a nord e a sud di Cirò. A quell’epoca i Bizantini entrarono in possesso di molti dei terreni, una volta di proprietà del latifondisti romani. Essendo il vino un elemento indispensabile nel rito cristiano della Mensa Eucaristica, la viticoltura era praticata dai monaci all’interno delle mura dei conventi; il vino così ottenuto veniva usato come vino da messa, offerto ai visitatori o consumato con moderazione dai monaci stessi. Intorno all’anno 1000 atti di donazione e contratti agricoli, attestano che la coltivazione della vite riprese a fiorire al di là del controllo della chiesa. Verso 1200, il vino ricominciò ad essere esportato in tutta Europa e il suo uso si diffuse in modo così ampio che la chiesa ritenne necessario prendere misure severe contro l’alcolismo (nel 1215 Papa Innocenzo III proclamò l’ubriachezza come reato grave). Per il territorio relativo alla Calabria, altre attestazioni ci pervengono da Cassiodoro (sec. VI). Quest’ultimo, a suo tempo, ci dà informazioni sul nome del vino migliore del Bruzio, il Palmaziano (derivante probabilmente dalla matrice palma= vittoria, per la sua eccellenza). Sul finire del Trecento, il vino diventerà una vera e propria risorsa per il commercio marittimo, dove quello più conosciuto era quello di Tropea, che partendo dal suo porto raggiungeva i banchetti di chi si trovava fuori territorio. Attraverso questa breve analisi possiamo concludere che la Calabria è stata una produttrice di vino, dai tempi Bruzi ai giorni nostri; ed oggi, sappiamo, che stappare una bottiglia di vino è sicuramente un’esperienza sensoriale che abbraccia sapori, profumi, colori, ma soprattutto è cultura, storia, tradizione e dedizione.

La grande defluenza del vino calabrese nella storia