Costume e società

In memoria di Ebru Timtik, morta di fame e di ingiustizia, martire in difesa di diritti che in Turchia sono negati

Non si può, non si deve restare zitti di fronte a queste ingiustizie

Il 27 agosto 2020, in Turchia, è morta un’avvocata. Di fame. Il suo nome era Ebru Timtik, da 238 giorni rifiutava di nutrirsi. Pesava 30 chili quando il suo cuore ha ceduto. Ha intrapreso lo sciopero della fame per chiedere per sé stessa ciò che gli avvocati di solito richiedono per gli altri: un processo equo. Un nuovo processo. In carcere da tre anni, era stata condannata insieme a 17 colleghi per “appartenenza a un’organizzazione terroristica”. 

Un tribunale le aveva inflitto, nel marzo 2019, una condanna a 13 anni e mezzo di carcere, confermata in appello. Lei, 42 ​​anni, aveva denunciato un processo ingiusto, sperava che la corte di cassazione ribaltasse la sua condanna. A metà agosto, dopo che l’avvocata era stata trasferita con la forza in un ospedale di Istanbul, la corte costituzionale aveva respinto la sua richiesta di rilascio sostenendo che la sua vita non fosse in pericolo. 

Era stata condannata senza prove. Ma preferiva andare avanti con la protesta invece di passare anni in prigione. La notizia della sua morte ha suscitato un’ondata di emozione tra i colleghi turchi e stranieri che seguivano con preoccupazione la sua vicenda. Il 28 agosto, centinaia di avvocati si sono riuniti davanti alla sede del loro ordine professionale a Istanbul. Sulle vesti nere con il colletto bordeaux avevano appuntato la foto di Ebru Timtik. Molti avevano le lacrime agli occhi. 

Ha combattuto anche per la sua professione, sempre più rischiosa. Dopo il fallito colpo di stato del luglio 2016, più di 1.500 avvocati turchi sono stati portati in tribunale, seguendo lo schema ricorrente di equipararli ai loro clienti e quindi accusarli degli stessi crimini.

Le autorità turche, silenziose e sorde al destino di Ebru Timtik durante il suo sciopero della fame, hanno protestato quando il suo ritratto ha coperto la facciata dell’edificio dell’ordine degli avvocati di Istanbul il giorno dopo la sua morte.

Il suo corpo è diventato sempre più fragile e piccolo, ora dopo ora. Poi il suo cuore giovane non ce l’ha più fatta e si è fermato. Negli ultimi giorni poteva bere solo attraverso una piccola siringa. “È morta da martire”, hanno scritto i membri dell’Associazione degli Avvocati progressisti di cui Ebru Timtik faceva parte. Lei e il suo collega Aytac Unsal, anche lui condannato e in sciopero della fame insieme a lei, sono stati trasferiti in due diversi ospedali della città. Quando la Corte competente aveva predisposto il rilascio dei due colleghi per mancanza di prove, il Consiglio giudiziario ha impedito che accadesse destituendo i giudici insediandone dei nuovi da un giorno all’altro.

Dopo la morte dell’avvocatessa a Istanbul sono scoppiate le proteste e i cittadini sono scesi in strada per gridare la vergogna accaduta.

Se n’è andata in silenzio, in una stanza d’ospedale, dove era stata trasferita dal carcere in seguito al precipitare delle sue condizioni. Se n’è andata al 238esimo di uno sciopero della fame con cui chiedeva un processo equo in un Paese, la Turchia, in cui l’equità e la giustizia sono concetti inesistenti. Specie se sei donna. Specie se sei un’avvocatessa per i diritti umani. Specie se non pieghi la schiena di fronte a un potere che vorrebbe tapparti la bocca.

È morta così, di fame e di ingiustizia. Il suo cuore si è fermato semplicemente perché non aveva più nulla da pompare in un corpo scarnificato dall’inedia.

È morta combattendo con il proprio corpo, fino alle estreme conseguenze, una battaglia che nella Turchia di Erdogan non è più possibile combattere con una parola, un voto, una manifestazione di piazza. È morta come fanno gli eroi, sacrificando la propria vita per i diritti di tutti.

L’avvocata residente a Istanbul, proveniva da Dersim, città di origine curda nella parte orientale del paese. La sua storia l’aveva portata a cercare la libertà per gli oppressi e la giustizia per chi viene perseguitato. Aveva aderito alla sinistra rivoluzionaria e faceva parte dell’ala marxista-leninista dell’associazione Chd. A seguito del fallito (supposto) colpo di stato del 2016 contro il presidente Recep Tayyip Erdoğan, il governo aveva emanato dure leggi contro il terrorismo che avevano portato alla chiusura immediata del Chd. Gli avvocati affiliati vennero perseguitati e minacciati. Ebru Timtik aveva comunque avuto modo di lavorare ancora e difendere in tribunale due insegnanti, Nuriye Gulmen e Semih Ozakca, accusati di affiliazione all’organizzazione terroristica Dhkp. Per questa difesa Timtik era stata considerata una collaboratrice del Dhkp e incarcerata. A febbraio 2020 Ebru Timtik ha iniziato uno sciopero della fame. Lo scopo era tenere viva l’attenzione sul mancato processo regolare e denunciare le condizioni di mancata dignità che oltre 300 avvocati stavano vivendo nelle carceri turche.

A metà giugno gli avvocati di Timtik erano riusciti a ottenere una sentenza della corte di Cassazione, ma le condizioni della loro assistita e del collega Unsal stavano peggiorando troppo in fretta per attendere un verdetto. Una delegazione del ministero della Salute a metà luglio aveva visitato l’attivista e consegnato una nota dove si chiedeva di assistere la detenuta medicalmente perché la sua vita era a rischio. Si chiedevano i domiciliari e si sottolineava l’impossibilità di rimanere in carcere. A fine luglio i due avvocati sono stati trasferiti in ospedale. Ma a metà agosto la Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la detenzione perché i due detenuti non sarebbero stati in pericolo grave. Dopo 27 giorni di ricovero forzato, in una stanza rumorosa e piena di luce, che comportava un’ulteriore tortura per Timtik, come dichiarato ai microfoni di radio Radicale dall’inviato Mariano Giustino, Ebru Timtik è morta.

Una settimana più tardi, il 3 settembre 2020, la Corte di Cassazione di Ankara ordinava la scarcerazione di Aytaç Ünsal per motivi di salute dopo 213 giorni di digiuno.

In Turchia si muore per aver fatto il proprio dovere di difensore, per aspirare ad un giusto processo, per la difesa dei diritti umani e civili. È compito dell’Avvocatura proseguire nell’impegno per la difesa dei diritti umani e dei loro difensori, non dimenticando il sacrificio estremo dell’avv. Ebru Timtik, contro ogni tentativo di oppressione e mortificazione dei diritti della persona e della dignità di chi crede nel diritto e nella giustizia.

Sarà l’occasione per ricordare anche Nasrin Sotoudeh, avvocata iraniana condannata alla disumana pena detentiva di 38 anni di reclusione ed alla barbara pena corporale di 148 frustate, in sciopero della fame da quaranta giorni, per chiedere il rilascio di tutti prigionieri politici in Iran, sfidando cosi il regime che l’ha condannata solo per avere esercitato il diritto di difesa, assistendo i difensori dei diritti civili perseguitati dal regime e per essersi battuta per i diritti delle donne, ricoverata in ospedale a causa della propria iniziativa non violenta. C’è solo un modo per celebrare la memoria di questa grande donna: non restare zitti. Far arrivare la sua voce il più lontano possibile, dove lei non può più arrivare.  
Buon viaggio Ebru