Opinioni

Elezioni di una democrazia feudale, benvenuti in Italia dove a scegliere sono i partiti

Abbiamo assistito, attoniti, al segretissimo rito di iniziazione di coloro che comporrannoil Parlamento Italiano dopo il 25 settembre.

C’è un paradosso, o forse un ossimoro, che governa questo tempo elettorale, il fatto che la nostra democrazia ha assunto, suo malgrado, alcune forme proprie del periodo feudale. Abbiamo assistito, attoniti, al segretissimo rito di iniziazione di coloro che comporranno, al netto di qualche oscillazione, il Parlamento Italiano dopo il 25 settembre. Un rito quasi sempre non condiviso, ma voluto, pensato e reso effettivo da ristrette oligarchie di partito.

Come può accadere tutto questo, nella Nazione che si fregia di una delle Costituzioni più democratiche al mondo? Due le ragioni convergenti. La prima, la drastica riduzione del numero di parlamentari, nel complesso passati da 945 a 600, che ha imposto la decapitazione dei posti disponibili e la conseguente falcidiazione della platea delle scelte.

Il secondo, la conservazione, a costituzione variata, di una legge elettorale che legittima, in barba al principio di sovranità popolare, la concentrazione del potere di elezione/nomina nelle mani di una limitata cerchia di persone.

Si ricorda che l’attuale legge elettorale persegue l’elezione di 2/3 dei componenti, c.d. quota proporzionale (il restante terzo è assegnato con sistema maggioritario uninominale), attraverso un listino plurinominale bloccato, nel quale la scelta cade, misticamente e senza che l’elettore abbia modo di incidere, su colui che precede nell’ordine di inclusione, sino a concorrenza del numero di seggi assegnato. Detto diversamente, il parlamentare non è scelto dal popolo, ma da chi lo candida, titolare dell’abnorme potere di decidere chi fare eleggere, dove farlo eleggere e, in definitiva, per cosa farlo eleggere. Una forma di fidelizzazione dall’alto, che stride con l’art. 67 della Costituzione, secondo cui il parlamentare deve rappresentare la Nazione ed agire senza vincolo di mandato. Da qui la contesa, fiera ed invisibile agli elettori, per un posto al sole ed il fenomeno, anche questo para-feudale, di candidati paracadutati su territori estranei, oppure pluricandidati, con diritto di libera opzione se eletti in varie circoscrizioni.

In definitiva, come accadeva nel medioevo, una ristrettissima èlite di potenti seleziona chi eleggere, dove eleggerlo e per chi e cosa farlo. E lo fa in luogo del popolo sovrano, chiamato, unicamente, a scegliere la direzione del cammino (centro, destra, sinistra, etc…), senza poterne indicare gli attori.

***

Tutto questo compromette una parte, non irrilevante, del nostro sistema democratico e determina una sorta di alienità politica del parlamentare rispetto alla comunità eligente. E’ utile ricordare che l’art. 48 della Costituzione fissa il valore universale del processo elettivo e stabilisce che sono elettori “tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”. Ciò quale riflesso del principio fissato dall’art. 1, secondo cui “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei modi e nelle forme di legge”. Lo stesso articolo 48, dopo aver confermato che il voto è ‘personale’ e ‘libero’, chiarisce inoltre che esso è ‘uguale’, ovvero ha una incidenza non differenziale, secondo la lezione illuministica, per cui non possono esistere ombre di privilegio nell’esercizio della funzione pubblica.

Ma sono i successivi artt. 56 e 58 a dettare i criteri e fare la differenza. L’art. 56 dispone che “La camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto”, esattamente come l’art. 58, che conferma che i senatori sono “eletti a suffragio universale e diretto”. Cosa ne viene? Che il motore elettivo deve essere il popolo, chiamato non solo a votare la direzione ma anche gli attori del cammino. Ciò, peraltro, quale riflesso di una precisa scelta istituzionale operata dai nostri Costituenti, protesa verso un modello di democrazia parlamentare, imperniato cioè sul Parlamento, unico tra gli organi costituzionali eletto direttamente dal Popolo. Da qui, la necessità di prestare massima cura al sistema di elezione, che deve contemperare per un verso l’autonomia ed indipendenza del Parlamento e dei Parlamentari, per altro verso il titolo sovrano degli elettori a curarne la scelta. Ebbene, la legge elettorale italiana, con la previsione di un listino bloccato per ordini di posizionamento scelto dall’alto, è esattamente l’antitesi di tale criterio. Ne risulta, sotto le spoglie di un sistema che conserva comunque i suoi strati di libertà, un modello para-feudale, in cui il popolo è estraniato dalla scelta che più conta ed il potere trova perno in novelli ‘feudatari’, chiamati a statuire, includere, escludere, posizionare, secondo metodo puramente demiurgico.

***

Quale la soluzione? In questa fase, nessuna. Occorrerà andare a votare e sperare nel buon Dio.

In previsione, servirà rivedere profondamente il modello, ripristinando, in tutto o in parte, il sistema delle preferenze per la quota proporzionale, ad arginare l’incontrollata espansione dei poteri di nomina delle segreterie di partito e per dare spazio a voci libere e fidelizzate unicamente alle ragioni del popolo sovrano. Si torni al modello costituzionale, insomma, come delineato dall’art. 49, in cui i partiti fanno da filtro tra popolo ed istituzioni, ma è il primo, in ultima analisi, a dare esito al percorso, con il suo voto. Oppure, si abbia il coraggio di totalizzare il modello maggioritario-uninominale che, perlomeno, consente una relazione diretta tra voto, elettore e candidato, magari pensando, sull’esempio dell’elezione dei sindaci, ad un doppio turno, che favorisca le coesioni, senza cedere agli assembramenti.

Si obietterà, quanto al tema delle preferenze, che i listini bloccati servono ad evitare il contagio della criminalità organizzata e del malaffare. Contro obiezione: i listini bloccati, introdotti sin dalle elezioni del 1994, hanno forse ridotto o eliminato un simile rischio? Dati alla mano, no!

Ma il tema, in realtà, è più profondo: possiamo, eticamente, socialmente e politicamente, rinunciare ad un valore profondo della Costituzione – il principio di scelta diretta dei parlamentari – solo per non correre il rischio di contagio? Certo che no, sarebbe una resa della civiltà giuridica al malaffare e l’annuncio, a scalare, di una disposizione ad ottenebrare altri diritti fondativi. Il vero è che la libertà, la democrazia, la giustizia sono un esercizio complesso, che richiede responsabilità, controllo, coraggio, ma soprattutto coesione e coerenza. Il contrario della rinuncia che, come nel caso della nostra legge elettorale, dà un frutto che sa vagamente di medio evo ed è anticipo di declino valoriale.

*avvocato