Cultura

Addio Gianfranco Riccelli, l’ufficiale con la chitarra

La Calabria piange l’artista fondatore dello storico gruppo degli Arangara, morto di Covid

“L’appuntamento è al Popilia, non fare tardi”, mi dice Gianfranco Ricelli preannunciandomi qualche sorpresa per la serata in programma a Pizzo per i cento anni dell’azienda Callipo.

Il mio fisico risente ancora dei postumi di un’influenza estiva, decimi di febbre ma non demordo, a quel tempo il sintomo non è un campanello di allarme. Faccio scorta di aspirina e mi precipito nel luogo del nostro primo appuntamento. Con lui c’è Carlo Lucarelli, altra figura di spessore per una serata storica. Tartufo, caffè e sigarette accompagnano un pomeriggio scandito dalla musica e da quel giornalismo prestato al teatro. Un esperimento riuscito di teatro canzone che insieme a Carlo Lucarelli propongono anche al pubblico napitino.

Gianfranco Riccelli è un passionario, in lui convivono amore, solidarietà e bontà d’animo. È il fondatore dello storico gruppo degli Arangara, dal nome calabrese degli alberi di arance che nel linguaggio popolare hanno un significato di fratellanza che supera la diffidenza. Arangara, dunque, che significa “vieni qui”.

Riccelli quel giorno è un parlatore seriale, e quando provo a spezzare il filo del discorso lui lo riannoda da un’altra parte e parla del suo rapporto con Claudio Lolli e con Francesco Guccini, l’omone buono di Pavana, legati da una forte alchimia musicale. Del maestro ne parla con ossequioso rispetto per potersi inebriare ancora di più della sua infinita saggezza. E, poi, come non parlare della terra natia, di quel legame che niente e nessuno può spezzare.

Riccelli ama la Calabria e la Calabria ama Riccelli e non è un caso se in quel di Bologna porta anche la sua calabresità, presentandola sempre con orgoglio. Lo stesso orgoglio con cui serve lo Stato in divisa, nel suo essere un ufficiale della gloriosa Arma dei carabinieri. E, ancora, parla della sua Taverna, la città di Mattia Preti ma anche la sua, custode fedele di tanti ricordi. E, ancora, della sua Soriano, il nobile paese in cui si rifugia spesso per ritrovarsi.

Gianfranco Riccelli sta alla Calabria come il mare alla spiaggia o il vento alla montagna. Riccelli e la Calabria sono un tutt’uno ed è anche per questo che non possono stare distanti per molto tempo. È la sua terra che si toglie il cappello dinanzi a un qualcosa che interrompe la gioia per un giorno appena iniziato.

La notizia è quella che non si vorrebbe mai sentire: Gianfranco non ce l’ha fatta, questo maledetto covid si è portato via anche lui, si è portato via un altro pezzo della gloriosa storia di Calabria. La settimana scorsa la notizia del contagio che lui con la sua sconfinata generosità rende di dominio pubblico, invitando coloro i quali possono aver avuto contatti con lui a farsi il tampone. Nel fine settimana le sue condizioni precipitano, in terapia intensiva all’ospedale di Catanzaro fino al triste epilogo, quando il virus porta via il sorriso di uno dei più apprezzati polistrumentisti calabresi.

Gianfranco Riccelli esce di scena a testa alta in abiti calabresi, con il cappello dell’Arma in testa e la chitarra in mano, perché non si può essere altro rispetto a ciò a cui si appartiene.

Oggi pomeriggio (mercoledì) le campane della sua Taverna si inchineranno al passaggio di un altro cittadino illustre che ha fatto della lealtà e della coerenza uno stile di vita. Scrive Eliot, il poeta della terra desolata, che aprile è il più crudele dei mesi. marzo non è da meno, perché Gianfranco Riccelli ci ha lasciato esattamente in questo punto dell’anno.