Benessere e gusto

Un viaggio nella storia normanna al parco archeologico di Mileto Antica

Il parco si trova a poca distanza dal moderno centro abitato e dall’uscita autostradale

A occuparsi della fruizione del sito archeologico è l’Associazione Culturale Mnemosyne, che accoglie i visitatori su prenotazione e organizzano spesso laboratori didattici per bambini.

L’area del parco archeologico era sede, fino al XVIII secolo, dell’abitato di Mileto, travolto definitivamente dal terremoto del 1783, catastrofe soprannominata “Il Grande Flagello” che portò via tante vite umane e buona parte del patrimonio architettonico medievale e moderno della Calabria centrale e meridionale.

La storia del sito inizia nell’Età del Bronzo: tracce di capanne e frammenti ceramici del periodo sono stati rinvenuti a poca distanza dall’Abbazia della Santissima Trinità. È tuttavia nel periodo bizantino che Mileto dovette assumere le forme di un vero e proprio centro abitato.

Con i Bizantini sorgono in Calabria numerosi centri nell’entroterra, posti su colline ben difendibili e circondati da corsi d’acqua, uno di questi è Mileto Antica.

Palazzo vescovile

Durante la seconda metà dell’XI secolo i Normanni sono impegnati nella conquista dell’Italia Meridionale, Ruggero, fratello minore del Duca Roberto il Guiscardo, si distingue per il suo valore e le sue capacità politiche avendo il ruolo fondamentale nella conquista della Calabria meridionale e della Sicilia.

Ruggero scelse come residenza Mileto, per suo volere abbellita con sontuosi edifici. Non conosciamo il luogo esatto della dimora del Gran Conte, sappiamo però, dalle fonti, dell’esistenza di un castello. Su una collina a pochi passi dall’abitato bizantino, venne edificata, fra il 1063 e il 1070, l’Abbazia della Santissima Trinità, in origine dedicata a San Michele Arcangelo, imponente edificio ecclesiastico ornato con colonne, capitelli e architravi marmoree provenienti dai sontuosi edifici di età imperiale di Vibo Valentia.

Sia per motivi pratici che ideologici, nel Medioevo, era praticato diffusamente il “reimpiego” ovvero l’utilizzo delle parti di edifici antichi per la realizzazione delle nuove strutture. L’edificio, lungo più di 75 metri, era triabsidato, con un ampio transetto e il corpo centrale scandito in tre navate da due file di colonne. Sopra le colonne e i capitelli s’impostavano delle ampie arcate, è infatti ormai superata l’ipotesi di un architrave rettilineo sopra i colonnati.

È stato constatato, in un documento relativo a dei restauri del XVII secolo, la menzione di un arco danneggiato nella zona della navata destra della chiesa, durante il sisma del 1638. Il muro più alto superstite, noto come la Scarpa della Badia è un contrafforte del XVII secolo, edificato per rinforzare il muro della facciata e del campanile. La chiesa subì infatti danni riparabili nel 1638, per 3940 ducati, ma venne colpita duramente dal sisma del 1659. A seguito di questo evento sismico andò perduta l’area delle absidi e del transetto. La chiesa, di cui la facciata era ancora in piedi, venne ricostruita lunga esattamente la metà. Prima di allora l’elemento più alto della chiesa, persino superiore al campanile, era la cupola- tiburio larga oltre dieci metri, caratteristica unica nel romanico normanno dell’Italia Meridionale. Essa sorretta da pilastri ove erano inserite otto colonne in marmo di diversi colori.

Le altre colonne presenti nell’abbazia erano sette sulla navata destra, otto sulla navata sinistra e due nel campanile, per un totale di 27 colonne, escludendo quelle presenti sui muri e gli altari di cui non si conosce l’esatto numero. La chiesa doveva essere molto alta, pur non conoscendone l’altezza in maniera precisa, sappiamo dai documenti d’archivio che a seguito del sisma del 1638 era prevista la realizzazione di contrafforti alti oltre 18 metri per rinforzare le mura del transetto.

A Sud della chiesa vi erano le strutture claustrali che ancora oggi attendono di ritornare alla luce. Forse pertinenti al chiostro o alla facciata della chiesa sono dei capitelli romanici esposti nel museo di Mileto. L’abbazia, di regola benedettina, era titolare di numerosi feudi in Calabria e Sicilia, un patrimonio di enormi dimensioni, unico in Calabria, che diede adito a numerose liti e contese giurisdizionali lunghe secoli. All’interno della chiesa abbaziale era custodito il sarcofago di Ruggero il Gran Conte, un originale romano del III sec. d.C., adornato da un baldacchino in porfido. Un altro sarcofago, decorato con una scena di amazzonomachia, del II sec. d.C., è assegnato dalla tradizione ad Eremburga, seconda moglie di Ruggero. All’interno dell’abbazia doveva essere sepolto anche Simone, il fratello di Ruggero II morto in tenera età e prima di lui erede del ruolo di Ruggero I. Di questo terzo sarcofago, ricordato anche dalle fonti sulla chiesa antecedenti al sisma, è stato rinvenuto un frammento nelle macerie della navata destra. I sarcofagi romani, sono ritenuti dagli studiosi, con buona probabilità, provenienti da Ostia. Mentre una porzione del sarcofago di Eremburga è nel museo di Mileto, insieme a tanti altri importanti reperti, il sarcofago di Ruggero venne portato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli nel XIX secolo ed è lì che ancora oggi si trova.

I pavimenti dell’abbazia, di tipo cosmatesco, oramai spoliati, erano realizzati in opus sectile, ovvero da fini lastrine di marmo colorato di età romana reimpiegate. I frammenti di pavimento rinvenuti durante lo scavo sono oggi esposti nel Museo di Mileto.

Sull’altra collina si trovano i resti della cattedrale e delle strutture episcopali. Nel 1081, probabilmente dopo la morte del vescovo vibonese Niceta, ancora menzionato in documenti databili intorno al 1080, Mileto divenne sede vescovile con la bolla di Papa Gregorio VII, traslandola da “Bibona, purtroppo priva di popolazione per punizione dei peccati” e da Tauriana, unita immediatamente dopo quella di Vibo alla nuova diocesi cattolica.

Della cattedrale sono visibili le absidi con le cappelle gentilizie retrostanti. Questa chiesa, probabilmente più grande in origine, dovette subire una modifica importante nel XIV secolo. La planimetria e i documenti di età precedente all’abbandono di Mileto Antica, ci descrivono una chiesa più volte abbellita con nuovi altari, stucchi dorati, dipinti, soffitti decorati e con tele. Anche essa era a tre navate scandite da due file di colonne, ma eccezionalmente binate (doppie) e probabilmente non reimpiegate. Facevano eccezione le colonne di reimpiego presenti davanti la porta maggiore, singole ma di più grandi dimensioni. Poco distante dalla cattedrale vi sono i resti del palazzo vescovile, di cui rimane il piano terra ancora in piedi.

Dalla cattedrale proviene anche un architrave con epigrafe datata al I sec. a.C., oggi custodito nel Museo Archeologico di Napoli. Il documento scritto di età tardo repubblicana ricorda un restauro degli altari e della statua di Proserpina, decretato dai decurioni di Vibo Valentia.

Palazzo Vescovile

Il Parco Archeologico di Mileto è un sito dotato di ampio valore storico ma anche paesaggistico, affacciandosi verso Sud si distinguono chiaramente lo Stretto, l’Etna e parte della Sicilia, il tutto nella meravigliosa cornice naturalistica della provincia vibonese, da sempre nota per l’amenità del suo paesaggio. In questo luogo nacque Ruggero II, primo re dell’Italia Meridionale, nato da Ruggero I il Gran Conte, che in Mileto aveva posto la sua residenza. È un sito unico nel suo genere che ha lasciato il segno nella storia del Mediterraneo e in particolare dell’Italia Meridionale che tutti i calabresi dovrebbero conoscere.

Per le visite ci si può rivolgere all’Associazione Mnemosyne: (num. Cel. +393482949098)

Manuel Zinnà – Archeologo

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