Il Ricordo

Nel ricordo del capitano Natale De Grazia

«Aveva un grande senso della giustizia e del dovere e quello che ha fatto rientrava nel suo lavoro. Molti credono sia un eroe, ma lui stava semplicemente facendo quello che doveva fare e che sentiva di fare». A pronunciare questo sentito ricordo sul Capitano di fregata Natale De Grazia, tempo fa, fu il figlio Roberto. Sono ormai passati 27 lunghi anni da quella notte del 12 dicembre 1995, allorché sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria all’altezza di Campagna, piccolo Comune limitrofo a Salerno, l’ufficiale della Guardia Costiera insieme a due colleghi effettuò una sosta per cenare. Di lì a poco, ripresa la missione con destinazione La Spezia, il Capitano De Grazia morirà improvvisamente sul sedile posteriore dell’auto. Tutt’oggi questo caso è ancora un mistero irrisolto. L’autopsia venne svolta 10 giorni più tardi, a Reggio Calabria, e ad effettuarla fu il medico legale Simona Del Vecchio. Il referto sulle cause del decesso risultò lapidario: “morte improvvisa dell’adulto”. Quindi, secondo l’esame autoptico, Natale De Grazia sarebbe morto per un’arresto cardiocircolatorio dovuto a cause naturali. Però, sin dal principio, i primi a non avvalorare tali conclusioni cliniche furono i familiari del Capitano De Grazia. Infatti, gli stessi richiesero subito una nuova autopsia. Il nuovo esame autoptico venne però riaffidato, inusualmente, alla stessa dottoressa Del Vecchio, che non potè smentire il suo precedente referto. Vi é da rimarcare il fatto che a distanza di vent’anni, nel 2018, il medico legale in questione fu poi condannata in primo grado dal Tribunale di Imperia a 6 anni e mezzo di reclusione (condanna poi ridotta su concordato)per aver firmato decine di referti clinici, senza però aver mai svolto gli esami del caso. Comunque, nel 1996 la Procura di Nocera Inferiore archiviò l’inchiesta e il pool di inquirenti del Capitano De Grazia venne sciolto; inoltre, nel 2000, anche le indagini sul presunto “traffico di veleni” vennero archiviate. Fu solo nel 2009 che fu istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, con la medesima che provò anche a fare luce, sebbene non in sede giudiziaria, sulla vicenda del capitano De Grazia. La relazione sulla morte dell’ufficiale doveva raccogliere una serie di riscontri su mandato della Procura. La relazione finale venne approvata all’unanimità nel 2013 e diede conferma dell’inattendibilità delle autopsie effettuate anni prima. Secondo il dottor Arcudi, consulente della Commissione, alla base del decesso del Capitano vi fu una “causa tossica”: quindi Natale De Grazia sarebbe stato avvelenato. Questo, dunque, il triste epilogo della vicenda. Ma chi era il Capitano Natale De Grazia e di cosa si era occupato per rischiare la vita? Natale De Grazia inizia la sua carriera nel 1981 imbarcandosi dapprima su petroliere e mercantili, in seguito frequenta l’Accademia navale di Livorno, e, da qui in avanti, riceve incarichi nelle Capitanerie di Porto di Vibo Valentia Marina, Reggio Calabria, in Sardegna e, infine, nel 1994 di nuovo a Reggio. Il Capitano é un convinto ambientalista e, nella sua professione, riesce a far coesistere la profonda conoscenza del mare e un’innata capacità investigativa. Ed è a seguito di un esposto presentato da Legambiente sul traffico di rifiuti illeciti che, una volta rientrato a Reggio, il Procuratore della Repubblica Francesco Scuderi inserisce De Grazia nella squadra di investigatori coordinata dal magistrato Franco Neri. L’inchiesta si occupava di rifiuti tossici e ‘ndrangheta, un business dai profitti enormi soprattutto se di mezzo ci sono fusti contenenti scorie radioattive. Qualcuno in quel periodo, oltre a seppellirli questi scarti aveva pensato anche di depositarli sul fondo marino con dei siluri: tale ingegnere Giorgio Comerio. E grazie ad un’intuizione del capitano De Grazia che, all’ “imprenditore” Comerio il pool investigativo andò a perquisire la casa nel maggio del 1995. Tra le carte passate al setaccio dagli uomini della Procura, in una cartellina con il titolo “Somalia” si recuperò il certificato di morte della giornalista Ilaria Alpi, trucidata un anno prima a Mogadiscio insieme al suo operatore video Miran Hrovatin. Il “traffico di rifiuti tossici” è uno dei più oscuri intrecci della storia recente italiana, con un giro di interessi che ha coinvolto politici corrotti, impresari senza scrupoli, servizi segreti deviati, faccendieri, massoni e mafiosi. Da quel poco che si conosce, numerose navi imbottite di rifiuti tossici, materiali nocivi, scorie nucleari, si sospetta siano state fatte inabissare non lontano dalle coste italiane, insieme al loro carico di morte e distruzione. Quindi, in quel momento Natale De Grazia si trovò, insieme ai colleghi, invischiato in un “gioco” molto piú grande di quello che avrebbe mai potuto immaginare. Ed infatti, di lì a poco, il pool finì nel mirino di intimidazioni e minacce; ma, nonostante ciò il Capitano non si lasciò intimidire e continuò ad indagare. Un’indagine che seguì varie piste tra cui quella sorta dallo spiaggiamento della Jolly Rosso ad Amantea, nel dicembre del 1990. Gli inquirenti ritennero che potesse esserci un qualche collegamento con la vicenda dell’affondamento della Rigel, avvenuto a largo di Capo Spartivento il 21 settembre del 1987 e, forse, anche con gli omicidi Alpi e Hrovatin. La sera del 12 dicembre del 1995 il Capitano de Grazia uscì per l’ultima volta da casa, salendo su un auto civetta con destinazione La Spezia, dove avrebbe dovuto raccogliere una serie di riscontri su mandato della Procura. Ad accompagnarlo nella missione il maresciallo Nicolò Moschitta e il carabiniere Rosario Francaviglia. L’epilogo é già stato raccontato: nei pressi di Salerno i tre investigatori fecero una sosta per cenare, consumarono qualcosa e si rimisero in viaggio. Giunti a pochi chilometri da Nocera Inferiore però il Capitano De Grazia stette male, molto male. L’auto si fermò e i colleghi chiamarono un’ambulanza. Il Capitano venne trasportato d’urgenza in ospedale, ma i tentativi di mantenerlo in vita furono vani. «Era innamorato del mare – dirà la moglie Anna – adorava i giovani. Era altruista, intelligente, e quando si metteva in testa di fare qualcosa, andava fino in fondo. Natale era un uomo che ci ha provato a non chiudere gli occhi e ha pagato. Perciò oggi noi non dobbiamo chiuderli, né socchiuderli, gli occhi, ma spalancarli. Lui non c’è più, ma il problema del mare è rimasto. Ed è di tutti noi».