Il RicordoAttualità

Morto Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica e L’Espresso

Suo papà Pietro era nato a Vibo Valentia, il nonno Eugenio monteleonese doc aveva fondato e diretto L’Avvenire Vibonese.

E’ morto uno dei più grandi giornalisti italiani, Eugenio Scalfari, 98 anni, aveva fondato Espresso e Repubblica. Nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924, Scalfari era di origini vibonesi, il padre Pietro era nato in Calabria, il nonno Eugenio fondatore e direttore dell’Avvenire Vibonese (1882), periodico di fine ottocento,erano nati a Vibo Valentia (allora era Monteleone). Quindi il giornalismo ce l’ha nel sangue, così come lo spirito di iniziativa che lo portò a creare due giornali destinati a fare la storia dell’editoria italiana.

La sua avventura nel giornalismo inizia nei primi anni cinquanta con il Mondo di Pannunzio e l’Europeo di Arrigo Benedetti. Nel ’55 con quest’ultimo fonda L’Espresso, primo settimanale italiano d’inchiesta. Scalfari vi lavora nella doppia veste di direttore amministrativo e collaboratore per l’economia. E quando Benedetti gli lascia il timone nel ’62, diventa il primo direttore-manager italiano, una figura all’epoca assolutamente inedita per l’Italia.

Si dedica anche alla politica, prima come consigliere comunale a Milano (1963) e poi deputato del Psi in Parlamento (elezioni del 1968). Craxi successivamente ne sabota la rielezione e da allora l’odio tra i due diviene implacabile. Scalfari allora fonda Repubblica dicendo che voleva dar voce alle classi produttrici del paese, gli imprenditori e i lavoratori, contro le classi parassitarie. Dopo due anni difficili, arriva la svolta. La deve anche alla famosa foto delle Brigate Rosse a Moro con la Repubblica in mano. Nel 1981 Repubblica viaggia sopra le 200 mila copie. Scalfari ne aveva fatto un prodotto mai visto in Italia, un giornale-opera d’arte.

Dopo i primi anni, in cui era bandito dalla pagine del giornale, lo sport entra prepotentemente a Repubblica. Ma con un nuovo modo di titolare, un nuovo modo di raccontarlo grazie al lavoro di Mario Sconcerti e Gianni Brera, Gianni Clerici e Mario Fossati, e poi Gianni Mura ed Emanuela Audisio). In quegli anni supera il Corriere della Sera quale quotidiano più venduto in Italia. Scalfari lascia la direzione di Repubblica il 5 maggio 1996 ad Ezio Mauro),

Negli ultimi anni si dedica soprattutto alla scrittura. Nel suo primo romanzo Il labirinto, uscito nel ’98, parla del rapporto tra sentimenti e ragione. La sua riflessione viene sviluppata poi ancora in L’uomo che credeva in DioPer l’alto mare apertoScuote l’anima mia ErosLa passione dell’eticaL’amore, la sfida, il destino. A un suo intervento su fede e laicità, lui che da sempre si dichiarato ateo, rispose  papa Francesco, con una lettera a Repubblica pubblicata l’11 settembre del 2014. L’incontro diventa un libro nel 2019 Il Dio unico e la società modernaIncontri con Papa Francesco e il Cardinale Carlo Maria Martini.

Delle sue origini vibonesi parla proprio in una delle sue opereL’ uomo che non credeva in Dio, Einaudi Editore, pubblicato nel 2008. Erano gli anni quaranta ed aveva sedici anni, Eugenio Scalfari, quando per sfuggire ai tedeschi ed alle «pene della clandestinità e della fame nera» si rifugiò proprio a Vibo Valentia con la sua famiglia. In Calabria,a partire dal maggio del 1944, ci rimase per due anni. Ed è qui che a questo suo soggiorno forzato egli dedica un intero capitolo e confessa che prima d’allora in Calabria c’era stato «qualche volta da bambino, l’ultima quando il nonno morì nel ‘32».

«A vent’anni fu molto diversoconfessa Scalfari nel suo libro -: mi trovai nel mezzo di una cultura contadina, arcaica, nella quale la mia famiglia paterna affondava radici antiche. Una cultura che stava morendo. Aveva resistito a non so quante invasioni nel corso dei secoli. […] La novità fu che stavano scomparendo i contadini e con essi il loro linguaggio e il loro modo di vivere, impastato di fierezza, ospitalità e coltello, religione e miscredenza. Quando arrivai nel ’44 quella civiltà era ancora aggrappata ai latifondi, ai poderi […] Ma quando ci tornai cinque anni dopo era già scomparsa. […] La mafia aveva cominciato a mettere radici nella Locride, nei borghi dell’Aspromonte e nella piana di Gioia Tauro. Adesso rivaleggia con Cosa Nostra, e la sua rete d’affari si estende dal Kosovo a Marsiglia e ad Amburgo. Il contadino è una specie in estinzione e non so se meriti d’essere protetta. A questo punto del resto sarebbe impossibile».