Opinioni

Ad un anno dall’ inizio dell’emergenza Covid, diritti costituzionali e libertà personali

Da oltre un anno stiamo facendo i conti con la più grave crisi che si ricordi nel dopoguerra. Una crisi che colpisce tutti gli ambiti del vivere, da quello individuale a quello sociale, da quello economico a quello istituzionale e dei servizi.

Anche l’assetto dello Stato ne è stato profondamente segnato, con un ribaltamento di priorità e forme, che non pochi dubbi ha destato. Si è parlato di sospensione del diritto, sospensione della Costituzione, sospensione della giurisdizione. Molte le voci che si sono levate. Ricordo, per tutte, quella del prof. Sabino Cassese, della Professoressa Marta Cartabia, di un gruppo di giuristi che si sono indirizzati al Presidente del Consiglio, del prof. Gustavo Zagreblesky.

Quanto al Prof. Cassese (“Il Dubbio”, 14.4.2020), dopo aver premesso che una “pandemia non è una guerra” e che, pertanto, il principio dei “poteri necessari” al Governo ex art. 78 Cost. è inapplicabile, ha rilevato che “il primo decreto legge era illegittimo: non fissava un termine, non tipizzava poteri, poiché conteneva una elencazione esemplificativa così consentendo l’adozione di atti innominati; non stabiliva le modalità di esercizio dei poteri”. Ha quindi auspicato il superamento dello strumento del DPCM (Decreto Presidente Consiglio dei Ministri), in favore, almeno per quelli più importanti, del DPR (Decreto Presidente della Repubblica), “ben più autorevole”. Inoltre, più della metà degli atti adottati con DPCM spettava al Ministro della Salute, ai sensi della l. 833/78, istitutiva del servizio sanitario nazionale. In definitiva, “abbiamo…, assistito, da un lato alla centralizzazione di un potere che era del ministro, nelle mani del Presidente del Consiglio. Dall’altro, alla sottrazione di un potere che sarebbe stato ben più autorevole, se esercitato con atti presidenziali. E’ forse eccessivo parlare di usurpazione dei poteri, ma ci si è avvicinati”.

Non meno preoccupati i rilievi del gruppo di giuristi (29.4.2020), secondo i quali “le misure (centrali e locali) introdotte per fare fronte all’emergenza Covid-19 ledono fino quasi ad annullare le libertà e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, incluse la libertà di circolazione (articolo 16), la libertà di riunione (17), il diritto di professare la propria fede religiosa nei luoghi di culto (19), il diritto allo studio (33-34), la libertà di iniziativa economica (41), financo la libertà di espressione del pensiero (21) e soprattutto la libertà personale (13) e i diritti inalienabili della persona“.

Una posizione che censura, altresì, l’enormità del potere assegnato al Presidente del Consiglio, non giustificato dall’art. 77 della Costituzione che ne fa un “primus inter pares” ed allo stesso Governo, atteso che, scrivono, “lo stato di emergenza è stato dichiarato unicamente dall’organo esecutivo, senza alcun vaglio parlamentare e in un vuoto costituzionale”. Da qui l’auspicio che “sarebbe bene, in primo luogo, intervenire eventualmente con norme di rango costituzionale per disciplinare situazioni analoghe a quella in corso, soprattutto al fine di fissare i limiti, anche rispetto ai diritti della persona, che l’azione di governo dovrà rispettare con percorsi parlamentari obbligati, fatti salvi i poteri della Protezione Civile. Infine, il rilievo per cui è proprio in crisi come questa che vanno salvaguardati i nostri valori fondamentali (come ricordava la Presidente della Commissione Europea il 31 marzo scorso) e le limitazioni che si rendono necessarie devono rispettare i principi di adeguatezza e proporzionalità (come ricordava l’Office of the Commissioner for Human Rights dell’ONU il 6 marzo scorso)“.  Da qui la richiesta di “ritornare al più presto a una normalità costituzionale“, che implichi, altresì, il ritorno alla giurisdizione, essendo “inaccettabile che la giurisdizione sia stata di fatto sospesa nella fase 1, come se non fosse un’attività essenziale al pari almeno delle tabaccherie”.
Quanto alla Presidente Cartabia (Corriere della Sera, 29.4.2020), ha, in primis, richiamato l’intangibile ruolo di “bussola” della Costituzione, ma avvertito che “i principi costituzionali sono sempre finestre aperte sulla realtà”, aggiungendo che “Nella giurisprudenza costituzionale, poi, si trovano orientamenti anche sulla misura di queste limitazioni, che devono sempre essere ispirate ai principi di necessità, proporzionalità, ragionevolezza, bilanciamento e temporaneità”. In definitiva, “più la compressione del principio costituzionale è severa, più è necessario che sia circoscritta nel tempo”. Infine, una chiamata al principio di leale cooperazione tra istituzioni, unico capace di sintetizzare le antinomie che l’emergenza produce.

Per finire, la voce del Prof. Gustavo Zagreblesky (“Il fatto Quotidiano”, 1.5.2020), che ha invece asserito la coerenza istituzionale di quanto operato dal Governo, sulla base della legittimazione conferita dal d.l. n. 18 del 17.3.2020 e, ancor prima, dal d.l. n.6 del 23.2.2020, che hanno espressamente affidato a Decreti del Presidente del Consiglio il compito di regolamentare la fase di emergenza. Ne conclude, quanto agli “aspetti formali”, che “le restrizioni dei diritti costituzionali in situazioni come quella che stiamo vivendo e nei limiti che essa richiede devono avvenire in base alla legge, ed è ciò che è avvenuto” Né sarebbero censurabili le misure di contenimento e preclusione adottate dall’Esecutivo, considerato che “Il decreto legge numero 6 di febbraio stabilisce che le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica. Successivamente indica le materie in cui tali misure possono intervenire: circolazione, trasporti, scuola, manifestazioni pubbliche, ecc. In breve: le misure attuative (i dpcm) sono autorizzate dalla legge e il governo ha fatto uso dell’autorizzazione in quanto “autorità competente”. Il governo non ha usurpato poteri che non gli fossero stati concessi dal Parlamento. Undici decreti sono tanti, ma l’autorizzazione data al governo prevede precisamente che l’attuazione sia, per così dire, mobile, seguendo ragionevolmente l’andamento dell’epidemia”. Quanto al rischio di una deriva autoritaria, il Professore la esclude: “si tratta di poteri tutt’altro che pieni, essendo limitati dallo scopo: il contenimento della diffusione del virus. Fuori da questa finalità sarebbero illegittimi”. Infine, una chiosa sul montante conflitto Stato-Regioni, di viva attualità in Calabria, viste le varie misure anticipatorie adottate in Regione, peraltro sempre sospese dal Tar Calabria. Zabreglesky richiama il principio di sussidiarietà ed invoca una necessaria cooperazione istituzionale che non dubiti del ruolo guida dello Stato.

Il tema non si è dissolto nei giorni della c.d. fase 2 e 3. Il ripetuto prolungamento dello stato di emergenza e la contesa, sfociata in contrapposti pronunciamenti del Tar e del Consiglio di Stato, circa la secretazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico di cui si è avvalso il Governo, ha rinfocolato le polemiche, gettando dubbi sulla legittimità dei pronunciamenti governativi. Di più, una recente sentenza del Giudice di Pace di Frosinone (n.516 del 15-29 luglio 2020) ha, per la prima volta, proclamato, sul piano giurisdizionale, l’illegittimità così della dichiarazione dello stato di emergenza, come dei DPCM attuativi, violativi, secondo quel giudice, del sacrario costituzionale (art. 13 Cost.) in tema di libertà personale e della stessa legge che disciplina lo stato di emergenza (dlgs. 1/2018), ritenuta non utilizzabile in materia sanitaria. Risuonano le parole del Consiglio di Stato che, nel sospendere la sentenza del Tar Lazio n. 8615/2020, ha avuto modo di asserire che …non si comprende, proprio per la assoluta eccezionalità di tali atti” perché i verbali del C.T.S. dovrebbero annoverarsi tra “quelli sottratti alla generale regola di trasparenza e conoscibilità da parte dei cittadini, giacché la recente normativa, ribattezzata freedom of information act sul modello americano, prevede come regola l’accesso civico“.

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Dunque, vi è una domanda di verità circa gli accadimenti dell’ultimo anno, alla quale si connette la qualità della nostra vita di cittadini ed i nostro senso del futuro. Vi è, a mio avviso, un doppio piano di lettura della vicenda che, per un verso, attiene al tema della legittimità degli atti di governo e, per altro verso, a quello delle scelte di merito.

Sul primo punto, riterrei di condividere, sul piano formale, le osservazioni del prof. Zagreblesky, le quali chiariscono come l’azione del Governo e del Presidente del Consiglio si siano mosse nel solco di una legittimazione normativa. Il punto è attestato, oltre che dalle disposizioni richiamate dal Professore (v. art. 3 d.l. 6/2020, convertito in l. 13/2020), anche dall’art. 2 comma 1 del d.l. 19/2020, in cui è precisato che Le misure di cui all’articolo 1, ovvero di tutela sanitaria nell’emergenza covid-19, sono adottate con uno o piu’ decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta… Né tale modalità è stata scossa dal vaglio giurisprudenziale.

La recente sentenza n. 841 del 9.5.2020 del Tar Calabria, sezione I, l’ha pienamente validata, anche in punto di primato del potere Statuale rispetto alle prerogative regionali. Si pensi al tema della “profilassi internazionale”, di esclusiva competenza dello Stato ai sensi dell’art. 117/2 lett. q) Cost., o a quello della “tutela della salute”, di concorrente competenza tra Stato e Regioni, ai sensi dell’art. 117 comma 3 Cost., ovvero alle possibili limitazioni, da adottarsi con legge, alla libertà di circolazione per motivi sanitari, ai sensi dell’art. 16 Cost. Quanto sopra non esclude, come variamente rilevato, che si sia registrata una manifesta primazìa dell’Esecutivo, favorita da una iniziale difficoltà del Parlamento a seguire l’incalzare delle urgenze. Sul punto, si imporranno rinnovate riflessioni, anche di ordine costituzionale, circa la funzionalità dell’Organo Legislativo in stato di emergenza, la necessaria precisazione del riparto di potere tra Stato, Regioni ed Enti Locali e, per finire, circa la più chiara definizione del perimetro emergenziale.

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Vi è un ulteriore tema, strettamente correlato, ed è quello della giurisdizione. La questione è se sia pensabile una tenuta democratica al cospetto di una giurisdizione che, in tempo di Covid-19, è risultata essere ontologicamente ridimensionata. La risposta, evidentemente, è no. La giurisdizione è pietra miliare dello Stato Democratico, essendo “amministrata in nome del popolo” (art. 101 Cost.), che ne è, nel contempo, fattore fondativo e garante. In termini, era probabilmente inevitabile, alle condizioni date, lo sfoltimento della gamma dei giudizi processabili nella primissima fase (v., per tutti, art. 83 d.l. 18/2020). Evitabile era, invece, l’idea di differenziare la ripresa delle attività, assegnando ai singoli uffici giudiziari il potere di stabilire in che misura farlo e secondo quali regole (per tutti, v.art. 83 commi 6 e 7 d.l. 18/2020). Una forma di deregulation che ha scosso la necessaria unitarietà del vincolo giudiziario, affidandolo ad una fonte discrezionale, localistica e non sempre omogenea. Di più. La crisi Covid-19 ha fatto emergere un ulteriore livello di criticità, ovvero la sostanziale incapacità del Sistema-Paese di assicurare continuità ad un suo servizio essenziale in condizioni eccezionali. Ebbene, solo in piena pandemia, ed attraverso interventi successivi, si è riusciti a costruire modelli processuali adattati all’emergenza epidemiologica, peraltro di dubbia coerenza costituzionale e funzionale. Basti pensare alla mancanza di certezza, nel primo periodo, circa gli applicativi da adottare per le udienze da remoto ed pericoloso sacrificio di valori processuali primari, quali l’oralità, l’effettività del contradditorio, la riservatezza. Né hanno sedato le ombre gli interventi, pure opportuni, della giurisprudenza che, nei vari ambiti (riparto di competenze, libertà di circolazione, garanzie processuali, giusto processo, diritto d’azione, conformità alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), ha provato a tracciare una direzione salda (v. C.S.VI, 21.4.2020 n.2538 e 2539), ancorchè eterogenea su scala nazionale.

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L’emergenza Covid-19 lascerà, tra le terribili macerie umane e sociali, anche una consapevolezza nuova. Prima fra tutte, quella di essere fragili, molto più di quanto la nostra civiltà tecnologica e comunicativa non avesse pensato e fatto credere. L’auspicio è che, riflettendo su tali fragilità, si possa pensare a modelli di scala capaci di assicurare, pur nelle condizioni più complesse, la continuità sociale, economica, istituzionale ed evitare che l’emergenza travolga tutto, persino le garanzie. Occorreranno nuove consapevolezze politiche e giuridiche, investimenti orientati in tecnologia e formazione, visioni di scala, capaci di consentire la continuità dei servizi e delle garanzie di Stato, pur nell’incedere delle urgenze. Il caso del riavvio del processo scolastico, ancora oscuro a molti mesi dall’inizio delle lezioni, è illuminante. Tutto questo nella coscienza che, in uno Stato democratico, nulla è monade ma tutto è connesso ed affluisce verso un’unica foce, la libertà delle persone. Quel che non sempre è accaduto in questi mesi.

*Avvocato